«Siamo diventati talmente scemi che dovremo adattare il calcolo del QI»

Il sociologo Paolo Crepet spara a zero su nuove tecnologie e l’impatto che queste stanno avendo sulla società e sui giovani. «Si lamentano, ma vivono nelle comodità. La salvezza? Abbandonare queste comodità».
LOCARNO - Paolo Crepet riporta in Ticino il “Reato di pensare” (sabato 29 novembre 2025, al Palexpo Fevi Locarno), uno spettacolo in cui il sociologo analizza la pericolosa tendenza della società contemporanea a inibire e frammentare il pensiero libero, l'immaginazione e la creatività.
Lo abbiamo raggiunto al telefono per discutere di quella che Crepet definisce una forma di censura invisibile, sia autoimposta che sociale, guidata dalla paura e dal conformismo e che rischia di uccidere l'originalità e il progresso umano.
Pensare è ancora di moda?
«Negli scorsi giorni sul New York Times leggevo un articolo molto interessante che spiegava come il pensare sia diventato un lusso per pochi. Non nel senso economico, è semplicemente elitario. Sarebbe molto grave, perché in qualche modo inverte il corso del nostro mondo. Da una parte ciò sarebbe correlato alla situazione economica e politica in cui in cui versano molti Paesi, dall'altra - in maniera ancora più globale - in rapporto alle nuove tecnologie, inclusa ovviamente l'intelligenza artificiale».
La tecnologia tiene in ostaggio la capacità di pensare?
«A fare da apripista è stato internet. Che tutti abbiamo accettato, anche di buon grado. Poi sono arrivati i social, un nuovo canale di comunicazione che già prefigurava - come ho detto una decina di anni fa in un mio libro - un cambiamento antropologico. Certo all'epoca non potevo prevedere l'intelligenza artificiale. Ma già i social media, in poco tempo, sono stati identificati come potenziali pericoli in rapporto all'uso che se ne fa. In essi prendono vita forme di aggressività, di denigrazione dell'altro e tutta una serie di angosce di non poter essere, se non artificialmente, parte di un mondo. Che rischia così di essere banale».
Lei parla di erotismo della delega. Più fanno gli altri, meno facciamo noi, più siamo contenti. Fa l'esempio del Bimby, il robot per cucinare. Che non è niente di fronte all'intelligenza artificiale. Oggi si chiede a chat gpt persino come relazionarsi con gli altri, quali emozioni provare.
«Ci sono milioni di persone, non solo giovani, che oggi vogliono essere aiutati, anche dal punto di vista morale e psicologico, da dei software. Il dado è tratto. La vita si trasforma in un enorme scaffale di un supermercato, dove trovi qualsiasi cosa senza doverla più scoprire. Questo è devastante. Gli inglesi usano un termine molto simpatico: "narrow minded", colui che accetta di avere una mentalità ristretta. È molto pericoloso».
Già decenni fa si pronosticava la fusione tra l'uomo e la macchina. Lo scenario dell'uomo cyborg è sempre più vicino?
«Più che fonderci con le macchine abbiamo accettato di farci dominare da esse. È una dittatura digitale, non una democrazia. Basti vedere come l'intelligenza artificiale si sia insinuata ovunque. Oggi se compri un cellulare non c'è più un modello che ne sia sprovvisto. Ci viene negata la scelta».
Per qualcuno è un plusvalore... Diventeremo super uomini.
«È come pensare di essere un intellettuale solo perché si possiede un'enciclopedia».
In attesa di diventare superuomini stiamo avvizzendo. Stando ai test che misurano il quoziente intellettivo, la popolazione contemporanea sarebbe meno intelligente di quella vissuta qualche decennio fa. D'altra parte passiamo buona parte del nostro tempo libero a guardare il mondo da uno schermo, che è un po' guardare un mondo già guardato da altri. Sorbiamo un omogeneizzato di realtà, tornando bambini, quindi passivi di fronte alla realtà.
«Faccio il profeta e le dico che presto il concetto di quoziente intellettivo sarà superato. Perché, oggettivamente, rappresenta un ostacolo. Diventerà obsoleto e si troverà un altro modo per misurare l'intelligenza umana, uno strumento più adatto alla poca intelligenza dell'uomo contemporaneo».
Come se lo immagina questo nuovo metodo per calcolare il QI?
«Non si baserà più, ad esempio, sulle capacità di sintesi e di memorizzazione. Sono parametri che vanno eliminati per non far apparire tutti come stupidi. Sono abilità che atrofizzeranno grazie all'intelligenza artificiale. Andranno sparendo gli intelligenti, quindi bisognerà adattare lo strumento che ne rileva l'intelletto. Un po' come per l'abbigliamento: se dovessimo tutti ingrassare, sparirebbero le taglie più piccole».
Oggi ci troviamo di fronte a una generazione che, forse per la prima volta, guarda al futuro con sgomento. Che si sente fuori posto. Una generazione che da una parte vorrebbe ribellarsi, dall'altra crolla di fronte alle prime difficoltà.
«Oggi quando si parla di giovani si parla sempre di disagio. Ma questa generazione, almeno quella occidentale, ha tanti motivi per essere contentissima. Un esempio? Può spostarsi nel mondo con facilità, a basso costo. Il lavoro? Non è più così necessario. Possono lavorare meno, a distanza. Ci sono contratti di quattro giorni lavorativi a settimana, la robotizzazione ha delegato alle macchine le mansioni più faticose. La casa, quasi tutti la erediteranno. I locali a mezzanotte sono pieni. Di ragazzi che chattano e bevono, bevono e chattano. Non mi pare che desiderino altro. E i genitori lasciano fare loro ciò che vogliono».
Dovrebbero essere contenti, dice... In realtà ne sta parlando male.
«Il problema è che dovrebbero ragionare su questa realtà. Che è loro tanto comoda, ma dalla quale dovrebbero trovare il coraggio di uscire. Perché questa è una gabbia. Li abbiamo attirati e chiusi in questo recinto, per carità, arredato con tutti i comfort, ma pur sempre un recito. Devono capire se vogliono restare nel perimetro di questa staccionata o scappare. Io scapperei. E metterei in discussione tutte le comodità che gli sono state concesse».
Bisognerebbe anche dare loro degli strumenti per farlo.
«Io gli consiglio di aspirare a un mondo migliore, maggiormente indipendente. Perché questa comoda ha enormi effetti collaterali. Uno su tutti quello di averci fatto diventare scemi. Però voglio essere ottimista, a forza di essere imbecilli prima o poi qualcuno se ne accorgerà e deciderà di essere altro. Scoprirà di volere dell'arte, qualcosa di sorprendente e nuovo. Cose che l'intelligenza artificiale non ti può dare. Sopravviviamo grazie a una sorta di banco dei pegni. Stiamo impegnando le nostre capacità, la nostra intelligenza, in cambio di comodità. Il cambiamento può arrivare, ma non dagli adulti. Loro sono i complici di questa idiozia».