Attivisti rimpatriati, ma a caro prezzo: bufera sul DFAE


Dopo il rientro dei cittadini svizzeri dalla missione della Flotilla, scoppia la polemica sui costi imposti dal Dipartimento di Ignazio Cassis
Dopo il rientro dei cittadini svizzeri dalla missione della Flotilla, scoppia la polemica sui costi imposti dal Dipartimento di Ignazio Cassis
GINEVRA - Cinquemila franchi. È la cifra richiesta dalle autorità svizzere per il rimpatrio di attivisti da Israele. Una decisione che ha suscitato forti polemiche politiche e mediatiche in Svizzera, dove diversi protagonisti denunciano «l’inerzia» del Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) guidato da Ignazio Cassis.
Tra gli attivisti svizzeri della Sumud Flottilla atterrati a Ginevra lo scorso 8 ottobre, c'era anche Rémy Pagani, ex sindaco della città. Settantun anni, allora candidato alle elezioni suppletive del Consiglio di Stato, Pagani era salpato verso Gaza in settembre insieme ad altri 18 svizzeri. Reduce da sei giorni di detenzione da parte delle forze israeliane, ha denunciato pubblicamente il comportamento non solo di Israele, ma anche del DFAE: «Non solo il Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) non ha fatto nulla per aiutarci, ma ha anche chiesto una cauzione di 5000 franchi all’associazione Waves of Freedom Switzerland prima della nostra liberazione! È una vergogna!», si legge su 24 heures.
La Svizzera non copre le spese agli attivisti - Ma qui entra in gioco quel che stabilisce la legge. La Svizzera - a differenza di altri Stati - non copre le spese legali al rimpatrio degli attivisti. Questo perché, come stabilisce l’ordinanza sulle tasse del DFAE, i servizi di protezione consolare sono in linea di principio a pagamento. La Confederazione si fa quindi carico dell'evacuazione dei propri cittadini da zone di crisi o catastrofi naturali, tranne nei casi di negligenza da parte degli interessati, qualora non seguano le raccomandazioni del dipartimento.
Il dipartimento di Cassis sostiene di aver avvertito più volte i membri della flottiglia sui pericoli del viaggio verso Gaza e considera dunque il loro comportamento negligente.
Il DFAE, tramite l’ambasciata svizzera ad Amman (in Giordania), ha organizzato «a titolo eccezionale» l’alloggio e il trasporto degli attivisti, ma «i costi di hotel e viaggio non sono a carico della Confederazione», ha precisato il portavoce Pierre Gobet. L’associazione Waves of Freedom Switzerland ha quindi dovuto anticipare 5000 franchi, mentre ciascun cittadino ha ricevuto un prestito d’emergenza che sarà successivamente addebitato individualmente. È in corso il calcolo delle ore di lavoro dedicate, stimate dalla NZZ in circa seicento.
Waves of Freedom Switzerland: «Decisione poco onorevole» - L’associazione Waves of Freedom Switzerland, nel frattempo, ha denunciato una «decisione poco onorevole» e ha chiesto al DFAE di celebrare «il coraggio degli attivisti svizzeri che hanno cercato di sostenere il popolo palestinese vittima di un genocidio». La portavoce dell’associazione, Annie Serrati, ha aggiunto: «Ci aspettavamo un atteggiamento più responsabile, veramente umanitario e solidale», sottolineando come «il personale abbia fatto del suo meglio, ma è Ignazio Cassis a limitare il margine d’azione».
Aiutare di più i cittadini all'estero - Anche sul piano politico, il caso ha riaperto il dibattito sulla legislazione consolare. Il socialista Carlo Sommaruga, consigliere agli Stati, definisce la situazione «scandalosa ma non sorprendente». E ha ricordato come la Confederazione avesse già mostrato la stessa mancanza di reattività durante la pandemia e dopo gli eventi del 7 ottobre 2023 in Israele. «Il DFAE si piega, mentre il diritto internazionale è dalla parte degli attivisti», ha accusato.
Più prudente il consigliere nazionale PLR Laurent Wehrli, secondo cui «le amministrazioni non lavorano sull’emotività: Non si può chiedere a un dipartimento federale né a un consigliere federale – in questo caso il signor Cassis – di violare la legge. Wehrli ricorda che eventuali modifiche possono essere introdotte solo attraverso i canali democratici: «Chi vuole che i rimpatri umanitari siano a carico dello Stato può lanciare un’iniziativa popolare».
Per Sommaruga, invece, l’attuale atteggiamento della Confederazione è «indegno di un paese moderno, la cui popolazione è mobile e conta 800’000 cittadini residenti all’estero. Lo Stato se ne lava le mani invocando la responsabilità individuale e abbandona i propri cittadini in difficoltà. Siamo di fronte a un servizio minimo e a una totale assenza di volontà politica di rafforzare il quadro legale».