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MEDIO ORIENTE

A Gaza c'è un altro vincitore

Donald Trump ha messo il cartello sul cessate il fuoco nella Striscia. Ma dalla cessazione delle ostilità emerge, di nuovo, anche il ruolo (discreto e fondamentale) della diplomazia di Ankara
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A Gaza c'è un altro vincitore
Donald Trump ha messo il cartello sul cessate il fuoco nella Striscia. Ma dalla cessazione delle ostilità emerge, di nuovo, anche il ruolo (discreto e fondamentale) della diplomazia di Ankara

GAZA / ANKARA - Di nuovo, i turchi. Meno rumorosi e appariscenti di chi, ieri, ha messo il cartello sulla "nuova alba" per Gaza e, più in generale, per l'intero Medio Oriente. Il presidente degli Stati Uniti ha pescato a piene mani, e giustamente, gli aggettivi dalla sacca dell'entusiasmo, parlando di giornata «storica» e «straordinaria». E tra le (tante) lodi distribuite, Donald Trump ne ha riservate anche per il suo omologo turco, Recep Tayyip Erdogan. Perché il "Sultano" - che già era riuscito a far sedere allo stesso tavolo russi e ucraini - è stato (ed è tuttora) un silenzioso "key player" nel percorso che ha portato le armi a tacere nella Striscia che si affaccia sulle acque del Mediterraneo.

Il ruolo di Ankara non si limita tuttavia a quello di forza mediatrice tra Hamas e Israele. La Turchia - che vanta canali di dialogo diretti ed entrature con le alte gerarchie di Hamas - ha avuto un ruolo di primo piano, in particolare mediante l'impegno del direttivo dei suoi apparati di intelligence, nell'imprimere una direzione alle fasi finali delle trattative sui tavoli egiziani. In altre parole, vuole avere un ruolo in quella che sarà la fase post-conflitto, dai meccanismi di garanzia di sicurezza che verranno implementati nella regione alla ricostruzione di Gaza.

Una relazione molto complessa
Apriamo però una breve - e necessaria - parentesi sui rapporti tra Turchia e Israele. In breve, come sono? Molto complicati, da circa tre lustri a oggi. L'operazione "Piombo fuso" a Gaza, tra dicembre 2008 e gennaio 2009, aveva fatto segnare una prima rottura. Seguì poi una fase più stabile, di riavvicinamento, precipitata poi nel gelo assoluto nel 2023. Ancora oggi, Ankara e Gerusalemme si parlano poco, i loro scambi di mercato sono quasi nulli e l'ambasciatore turco, richiamato nel 2023, non ha tutt'ora fatto ritorno a Tel Aviv.

Inoltre, sulla scena internazionale, sono stati pochi i leader che hanno sostenuto con veemenza la causa palestinese quanto lo ha fatto Erdogan. La conoscenza del delicato tessuto regionale da parte dei turchi è un fattore che avrà un peso. E potrebbe riuscire a consolidare risultati là dove, in passato, le operazioni di pace condotte da entità come le Nazioni Unite (e la NATO) hanno invece fallito.

Questo, va da sé, a patto che la Turchia riesca a confermare la sua leadership mantenendo un certo grado di imparzialità. Ma è certo che molto presto, Israele si ritroverà con una grande potenza, tutt'altro che amica, a ridosso delle sue frontiere.

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