«Mai pensato di favorire Gobbi. Non appariva in stato di ebbrezza»

Parlano i due agenti accusati di favoreggiamento per il caso dell'incidente che il 14 novembre 2023 ha coinvolto il consigliere di Stato.
BELLINZONA - È in un'aula gremita che oggi alla Pretura penale di Bellinzona ha preso il via il processo sul caso dell'incidente di Norman Gobbi. Alla sbarra ci sono due agenti della polizia cantonale, un 47enne aiutante capo e un 40enne sergente maggiore. Entrambi sono accusati di favoreggiamento per avere intenzionalmente (o quantomeno con dolo eventuale) sottratto Gobbi alle verifiche che si imponevano.
L'incidente, lo ricordiamo, avvenne sulla A2 all'altezza di Stalvedro, quando l'auto di un conducente tedesco urtò quella del consigliere di Stato.
«Gobbi? Lo conoscevo solo di vista» - «Che rapporti avevate con Norman Gobbi al momento dei fatti, il 14 novembre 2023?», chiede subito agli imputati la giudice Elettra Orsetta Bernasconi Matti. «È il capo dipartimento. Io lo conosco di vista, ma non sono mai stato né a pranzo né a cena con lui», afferma l'aiutante capo. «A livello professionale nella mia funzione ho avuto contatto con la sua segreteria, ma per il resto con lui non ho mai avuto a che fare. Quando passava nei corridoi ci salutavamo e sotto le feste ci facevamo gli auguri di Natale».
«Io nessun tipo di rapporto», afferma dal canto suo il sergente maggiore.
«Non abbiamo chiesto quando si era messo alla guida» - Interrogato dalla giudice, l'aiutante capo dichiara poi di non aver mai chiesto a Gobbi a che ora si era messo alla guida quella sera. Solo nel quadro del procedimento è emerso che era partito da Mezzovico intorno alle 23.30.
«Non abbiamo discusso di quando Gobbi si era messo alla guida. Non è qualcosa che si chiede...avremmo potuto chiedere l'orario in cui è avvenuto l'incidente ma non ne abbiamo parlato, perché il problema principale era la calibrazione scaduta apparsa sull'etilometro, che mi ha preso alla sprovvista. Mi son detto "ma come si fa a lavorare così", e mi sono concentrato su quello. Per me in ogni caso il primo esame, così, non era valido».
«Sì ma quando è accaduto l'incidente Gobbi era già alla guida da un po'», osserva la giudice. «Nella prassi vigente si calcola il tasso alcolemico al momento dell'evento», replica l'aiutante capo. «Questo calcolo a ritroso viene fatto solo quando una persona scappa, ma in un incidente l'orario dell'evento fa stato».
Un problema con gli etilometri «noto da due mesi» - «In quel periodo su ogni singolo etilometro, all'accensione, compariva "calibrazione scaduta"», chiarisce il sergente maggiore. «Il problema era noto da settembre, almeno a noi operativi. Sono quasi sicuro che il servizio tecnico era stato allertato, ma la problematica non era ancora stata risolta. Mi vergogno a dirlo ma all'accensione dell'apparecchio lo nascondevamo per non farlo vedere agli utenti».
«Io non lo sapevo, se no nella mia funzione avrei fatto qualcosa», sottolinea l'aiutante capo.
«Abbiamo capito che il problema dell'etilometro relativo alla "calibrazione scaduta" in quei mesi era una costante. Negli altri casi è sempre stata scalata la gerarchia? Lei interpellava ogni volta il suo superiore?», chiede al sergente maggiore il procuratore generale Andrea Pagani. «No, è stata una mia decisione», risponde.
«C'è una direttiva del 2023 che indica come trattare i casi che coinvolgono gli agenti di polizia», sottolinea dal canto suo l'aiutante capo. «Era stato disposto che in questi casi bisognava in primis avvertire l'ufficiale, per evitare qualsiasi chiacchiericcio. Ritengo quindi che la decisione presa dal mio collega è stata corretta».
«Non c'era il sospetto che fosse in stato di ebbrezza» - «Ma non vi è sorto il sospetto che Gobbi avesse guidato in stato di ebbrezza, visto che il primo test aveva rilevato un tasso alcolemico di 0,28 milligrammi per litro?». «Onestamente no», risponde il sergente maggiore. «Il primo risultato non l'ho mai preso in considerazione, vista la "calibrazione scaduta". Inoltre il responsabile dell'incidente era l'altro conducente, Gobbi ha chiamato la polizia, era tranquillo e ha collaborato durante tutto il processo».
«Non è che tutte le persone positive all'alcol vanno in giro sbiascicando e non riuscendo a stare in piedi», fa notare la giudice. «E comunque a un certo punto vi siete accorti che al momento del secondo test erano passate più di due ore dall'incidente. Avete discusso se sottoporre o no Gobbi all'esame del sangue?». «No», dicono i due.
«Portarlo a Bellinzona per l'esame del sangue mi sembrava eccessivo» - «Per me il primo risultato dell'etilometro non era valido», ribadisce il sergente maggiore. «E portare una persona da Airolo a Bellinzona per un prelievo del sangue, per pochi minuti di superamento delle due ore, onestamente mi sembra un po' eccessivo».
«Mi è stato spiegato che esisteva la prassi di prescindere dall'esame del sangue se erano passati pochi minuti dalla soglia limite delle due ore dall'incidente. E visto che non era apparso nulla di sospetto nel comportamento di Gobbi per me andava bene così», gli fa eco l'aiutante capo.
«Ma quindi questa prassi da quanto tempo c'era?», chiede la giudice. «Io non ho inventato nulla. Nel nostro programma informatico ho visto che in questi casi si poteva prescindere dall'esame del sangue. E negli uffici se ne parlava», insiste il sergente maggiore.
Un incidente "liquidato" - «Quindi avete deciso di liquidare l'incidente così...», commenta la giudice. «Sì, ho deciso io», afferma l'aiutante capo. «E io condividevo», aggiunge il sergente maggiore.
«Avevo preparato una bozza di comunicato, ma il caso è stato segretato» - «Ma con questa decisione avete pensato di favorire Gobbi?», chiede Bernasconi Matti. «Assolutamente no», dichiara l'aiutante capo. «Tant'è che ho scritto una mail con una bozza di comunicato stampa per informare dell'incidente. Non tocca però a me decidere se comunicare o no, e il caso è stato segretato».
E, rispetto alla posizione del consigliere di Stato, precisa: «Gobbi non ha saputo che gli apparecchi non erano calibrati. E la questione delle due ore non è stata discussa davanti a lui. Può essere che in seguito gli ho chiesto se valeva la pena di comunicare la notizia, ma non ricordo».
A prendere la parola, ora, sarà la pubblica accusa.