«Qui torniamo giovani. Studiamo per piacere, non certo per un diploma»



È tempo di tornare in classe anche per gli studenti dell’Università della terza età. «Vecchiaia inutile? Rompiamo questo cliché», ci dice il direttore Giampaolo Cereghetti.
È tempo di tornare in classe anche per gli studenti dell’Università della terza età. «Vecchiaia inutile? Rompiamo questo cliché», ci dice il direttore Giampaolo Cereghetti.
LUGANO - Il professore parla. Gli studenti prendono appunti. A risaltare, però, è la loro silenziosità e diligenza. E la maggior parte delle chiome sono bianche. “Ma dove siamo?”, vi chiederete. A una lezione dell’Università della terza età.
Le materie offerte dal programma dei corsi, che si svolgono in tutto il Ticino, sono le più svariate: storia, biologia, matematica. Geopolitica, informatica, filosofia e letteratura. Ma anche astronomia, linguistica, cinema e musica.
Tornare a scuola a 75 anni - «Mi piace, ho sempre amato la scuola e mi sento giovane e volenterosa di tornarci», ci dice la 75enne Josette Matasci al termine di una lezione di filosofia, focalizzata su Nietzsche e Schopenhauer, sul tema del dolore.
«Non c'è pressione, si apprende sereni» - «Io non la vivo come una scuola, ma so di essere un animale molto curioso», le fa eco il 65enne Andrea Sala. «Ora che non lavoro più questa voglia di sapere mi porta a vedere questa occasione come ghiottissima. Poi va detto che questa non è la scuola dell'obbligo, e non parliamo neanche delle superiori dove comunque c'è di mezzo la prestazione e bisogna superare degli esami. Qui non ti chiede niente nessuno, per cui vieni sereno, e hai il tempo di apprendere quello che puoi».
Ma a spiegarci cos’è esattamente l’Università della terza età è Giampaolo Cereghetti, direttore dell’Uni3 nonché presidente dell’Associazione ticinese terza età (ATTE).
«L’Università della terza età è nata quarant'anni fa, per volontà del professor Guido Marazzi, allora direttore della Scuola magistrale cantonale», ci dice. «Marazzi si è ispirato alla scuola dedicata alla terza età che in quel momento era appena stata creata nel canton Ginevra. E intorno agli anni 70 un po' in tutta Europa sono sorte scuole di questa natura».
Riflettere e socializzare - «L’idea», continua, «è che questa è una forma importante di prevenzione primaria volta a tenere lontane le difficoltà che con il passare degli anni si possono incontrare sul piano cognitivo, delle competenze, della memoria, eccetera. È un'offerta che si fa alla popolazione per restare in una dimensione di cittadinanza attiva, e c’è anche un elemento sociale importante, che previene esperienze di solitudine».
I partecipanti alle lezioni dell’Uni3 «vengono stimolati a riflettere, e poi magari a leggere un libro, ad andare a vedere un film al cinema, o semplicemente a incontrare delle persone con le quali poi si può anche bere un caffè. C'è una relazione che si costruisce, anche con i docenti, che in questo caso non sono dei valutatori ma piuttosto dei promotori culturali».
Per tutti - L’Università della terza età, oltretutto, è aperta a tutti e non richiede alcuna formazione o titolo di studio preliminare. A seguire le lezioni sono quindi sia persone che hanno studiato tanto nella loro vita che persone a cui in età giovanile questa dimensione è mancata del tutto.
«Il primo ingrediente per invecchiare bene» - «Ci possono essere ex professori universitari, spesso anche nella funzione di insegnanti, ma ci sono soprattutto persone normali, con una prevalenza di rappresentanti del sesso femminile, che non necessariamente hanno alle spalle una formazione universitaria, ma hanno mantenuto un atteggiamento curioso verso la vita», sottolinea Cereghetti. «Un aspetto, questo, che mi affascina, e che è forse il primo ingrediente per invecchiare bene».
«Gli anziani? Più diligenti» - Va detto poi che se c'è qualcuno che ha una lunga esperienza nel campo dell'insegnamento è proprio Cereghetti, che per 30 anni (dal 1986 al 2016) è stato direttore del Liceo Lugano 1. E, ammette, qualche differenza tra insegnare ai giovani piuttosto che agli anziani c'è. «Qui solitamente c'è un atteggiamento positivo e i partecipanti sono diligenti, perché siamo in un contesto molto libero. Uno sceglie di venire qui perché gli fa piacere, lo fa per sé stesso, non viene certamente per acquisire un titolo di studio di cui non ha più bisogno. E questa forse è la dimensione più interessante. Lo studio dal mio punto di vista dovrebbe essere pochissimo una cosa che serve in termini utilitaristici, ma piuttosto rappresentare un servizio che riguarda la propria crescita personale come individui».
Una vecchiaia «vivace» - Una visione, questa, più facile da trovare nella terza età. «Uno potrebbe pensare che è paradossale, perché ci avviciniamo alla fine del percorso, ma è proprio in questo che si rompe il cliché di una vecchiaia inutile, di una vecchiaia chiusa su se stessa, e si apre invece una prospettiva di presenza vivace nel contesto sociale. Questo è indispensabile in una realtà come la nostra, dove un quarto della popolazione ha ormai superato i 65 anni», conclude.

