Partire dall'Africa e trovarsi a combattere in Ucraina

La storia di un atleta che, convinto di partecipare a una gara podistica, si è ritrovato a far parte dell'esercito di Mosca. Il suo non è un caso isolato
«Non rimandatemi in Russia, lì morirò» ha detto con le lacrime agli occhi Evans Kibet, un keniota, prigioniero di guerra in terra ucraina. Il video è stato pubblicato su Facebook, alcuni giorni fa dalla 57a Brigata di Fanteria Motorizzata, per mostrare come tra le fila dei soldati russi vi fossero molte persone provenienti dalla Somalia, dal Kenya, dalla Sierra Leone, oltre che da Cuba e dal Bangladesh. Persone che hanno lasciato la propria casa con la promessa di un lavoro, per poi trovarsi arruolate nell'esercito russo e mandate a combattere in prima linea in Ucraina.

Dall'atletica alla trincea - «La maggior parte di questi individui viene da Paesi molto poveri» ha dichiarato alla Bbc Petro Yatsenko, portavoce per l'Ucraina sul Trattamento dei prigionieri di guerra «e finiscono a combattere per la Russia in molti modi». Come spiegato da Yatsenko, a molte di queste persone viene promesso un posto di lavoro in fabbrica, mentre altri si arruolano volontariamente per guadagnare qualche soldo per le loro famiglie. «È importante capire» ha spiegato il portavoce ucraino «che pochissimi sono catturati vivi: la maggior parte viene uccisa o gravemente ferita». Questo è anche il caso del 36enne keniota, che sognava di diventare un campione di atletica leggera e invece si è trovato al fronte senza neanche aver avuto l'intenzione di combattere una guerra.
Secondo la Bbc, Kibet, cresciuto in un'umile famiglia di agricoltori della zona di Mount Elgon, nel Kenya occidentale, si è sempre dedicato alla corsa e, pur non essendo mai arrivato a vincere le competizioni più importanti, ha disputato gare su strada, di dieci chilometri o mezze maratone, in Europa e in Asia. Dovendo affrontare delle difficoltà economiche, l'uomo chiese al suo compagno di allenamento, Elias Kiptum, di aiutarlo a disputare una competizione in Polonia, ma senza successo, dato che la squadra era già al completo. Qualche tempo dopo, un agente sportivo offrì all'atleta la possibilità di viaggiare in Russia per poi prendere parte a una gara. Kibet decise di cogliere tale opportunità, convinto di partire per motivi sportivi. «Era molto contento quando mi ha detto che avrebbe corso in Russia» ha raccontato alla Bbc il fratello di Kibet «e anche io ero felice per lui. Avevamo grandi aspettative».
Arrivato in Russia, dopo aver garantito ai propri familiari che sarebbe stato via solo due settimane, all'atleta venne proposto di poter allungare il proprio soggiorno dato che il suo visto era scaduto. La persona che lo ospitava tornò quindi «una sera con alcuni documenti scritti in russo dicendo: "Questo è il lavoro che voglio che tu faccia". Kibet ha raccontato che, una volta firmati i documenti, gli venne sequestrato il telefono e il passaporto, «e mi sono ritrovato in un campo militare» dove gli venne intimato: «O vai a combattere o ti uccidiamo». Dopo una settimana di addestramento base, con del personale militare che non parlava inglese ed era costretto a farsi capire a gesti, l'uomo venne destinato alla sua prima missione militare, riuscendo però a scappare nella foresta di Vovchansk, nella regione nord-orientale di Kharkiv, e facendosi catturare da alcuni soldati ucraini. «Tutti mi hanno puntato le pistole, ma ho detto loro di calmarsi. Il comandante è venuto, mi hanno legato. Ho detto loro: "Sono disarmato, non voglio niente. Sono qui per salvarmi la vita”» ha raccontato. Su pressione dei familiari dell'uomo, il governo keniota ha dichiarato di volersi interessare al suo rimpatrio, anche se, in generale, risulta molto disinteresse da parte degli altri Stati africani a riportare in patria i propri cittadini arruolati nell'esercito russo.

Reclutati per il fronte ucraino - Lo scorso giugno, France24 aveva dedicato un approfondimento proprio al fenomeno dei "Black Wagners" ossia a centinaia di uomini africani reclutati dall'esercito russo con la promessa di alti salari, un posto di lavoro e un passaporto russo. Mentre alcuni di loro, come detto, hanno dichiarato di essere stati consapevoli di dover combattere per la Russia, molti altri si sono trovati a vestire la divisa dell'esercito russo in maniera inconsapevole, e dopo un addestramento frettoloso e per nulla adeguato alla missione da compiere. L'emittente francese ha raccontato la storia di Malick Diop, un venticinquenne senegalese, reclutato a Dakar con la promessa di un lavoro di lavapiatti, e inviato in prima linea in Ucraina dove, dopo due giorni di fuga, si è arreso alle forze ucraine. Una vicenda simile a quella del trentaseienne Jean Onana, un camerunese padre di tre figli, che si è recato in Russia nella speranza di guadagnare dei soldi per la propria famiglia. «Pensavo di venire a lavorare» ha raccontato l'uomo «ma mi sono ritrovato in una guerra in cui a nessuno importava chi fossi o perché fossi venuto».
Come scritto da El Pais, «molte reclute africane vengono abbandonate sia dai loro Paesi d'origine sia dalla Russia, lasciandole bloccate in un limbo legale e umano». Il quotidiano spagnolo ha raccontato, lo scorso luglio, la vicenda di Olunwagbemileke Kehinde, un nigeriano che si era recato in Russia per motivi di studio, e successivamente reclutato dall'esercito russo prima come traduttore e poi come soldato in prima linea. Catturato anch'egli dalle forze ucraine nella regione di Zaporizhzhia, l'uomo ha dichiarato: «Sono fortunato a essere vivo».

Gli effetti in Africa della guerra - La guerra scatenata dalla Russia in Ucraina, come visto, ha avuto degli effetti anche in Africa, e se molti uomini provenienti da questo continente si sono trovati arruolati nell'esercito russo, molte donne africane continuano a essere impiegate nelle fabbriche che producono droni militari. Secondo un report redatto da Transnational Organized Crime, molte di queste persone «si trovano ad assemblare droni economici in pessime condizioni di vita» dopo aver aderito al programma Alabuga Start, che prende il nome dall'area industriale situata nel sud-ovest della Russia dove vengono prodotti i droni Geran-2. Alle lavoratrici provenienti da diversi Paesi poveri viene offerta la prospettiva di una carriera ben pagata, per poi trovarsi a vivere in cattive condizioni ambientali e ad essere esposte a sostanze chimiche molto pericolose.
La DW ha tentato di intervistare alcune di queste ragazze, ma molte di loro si sono rifiutate di parlare per paura di gravi ripercussioni. Una delle poche lavoratrici che ha deciso di raccontare la propria storia è Chinara, una giovane donna nigeriana, felice di partire perché «all'inizio ci erano state proposte aree come logistica o servizi di catering (…) ma quando siamo arrivate qui, è cambiato tutto e hanno avanzato delle scuse». Alcune sono state destinate all'assemblaggio di droni mentre altre sono state impiegate per servizi di pulizia, «esposte a sostanze chimiche altamente pericolose per la vita, tanto che gli stessi russi non lavorano lì a lungo perché è un posto molto pericoloso».

Un sistema di sfruttamento - Secondo i dati del Single Interdepartmental Information and Statistical System, Siiss, un database ufficiale del governo russo, nel 2024 sono immigrati in Russia più di 111mila lavoratori africani, con un aumento del 50% rispetto al primo anno di guerra nel 2022. La maggior parte di questi migranti provengono dal Camerun, ma sono numerosi anche quelli provenienti dalla Repubblica Centrafricana, dal Gambia e dalla Nigeria. Quasi tutti questi Paesi collaborano con Alabuga Start, e si stima che siano state reclutate in maggioranza donne africane tra i diciotto e i ventidue anni.
La coautrice dello studio del Siiss, Julia Stanyard, ha dichiarato alla Dw che «le giovani donne vengono sfruttate, dovendo coprire dei turni massacranti dietro la supervisione di un responsabile di Alabuga» e ed essendo esposte a sostanze chimiche dannose per la loro salute. «Tale programma sembra assomigliare a una forma di sfruttamento fraudolento» ha dichiarato la Stanyard «non viene detto loro cosa produrranno una volta reclutate e molte di loro sono intrappolate ad Alabuga e non possono lasciare il Paese». La madre di una ragazza dello Zimbabwe, partita come lavoratrice per tale programma, ha raccontato che la figlia «voleva approfondire la sua formazione tecnica. Ora ci ha parlato di lavoro forzato. Viene controllata al telefono e non ha ricevuto i 1.500 dollari promessi». Il padre di un'altra ragazza reclutata allo stesso modo ha dichiarato che la figlia è finita in una «trappola mortale». Dopo le tante segnalazioni e denunce a opera dei parenti di queste lavoratrici trattenute in maniera coercitiva in Russia, sempre più Paesi africani sono diventati consapevoli dei rischi legati al programma Alabuga Start e hanno avviato delle indagini in merito.
Appendice 1
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