«Indignarsi non basta più»


Non solo cinema, al Film Festival Diritti Umani Lugano: domenica 19 ottobre sarà presentato "Mamera", un podcast che racconta il dramma vissuto dalla popolazione Jenisch in Svizzera
Non solo cinema, al Film Festival Diritti Umani Lugano: domenica 19 ottobre sarà presentato "Mamera", un podcast che racconta il dramma vissuto dalla popolazione Jenisch in Svizzera
LUGANO - Nella programmazione del Film Festival Diritti Umani Lugano (FFDUL) non c'è solo cinema: sotto il suo ampio ombrello trovano spazio anche altre forme di narrazione. Come il podcast. Si tratta di "Mamera", un racconto del dramma vissuto dalla popolazione Jenisch in Svizzera per una buona parte del Novecento e le cui ferite sono visibili ancora oggi. Sarà presentato domenica 19 ottobre 2025 alle 14 al Cinema Iride di Lugano.
"Mamera" è prodotto da Associazione REC e realizzato da Taty Rossi, che ha raccontato questa storia con profonda partecipazione. L'abbiamo intervistata.
Nel podcast spieghi che l'idea è nata nel 2024. Quanto lavoro effettivo c'è dietro?
«Nonostante abbia avuto degli intoppi, "Mamera" è un progetto nato sotto una buona stella. Quando sono arrivata da REC per la finalizzazione avevo già fatto da sola tutte le interviste e la raccolta fondi, molto frustrante. Per fortuna l'Associazione mi ha accolta, nella persona di Olmo Cerri e con la preziosa supervisione di Agnese Làposi nel montaggio e di Victor Hugo Fumagalli per le musiche. Per rispondere alla tua domanda, sono stati 6-7 mesi di lavoro concreto».
Questa è principalmente la storia di Ursula, detta Uschi. Ma anche del progetto Kinder der Landstrasse.
«Attraverso la testimonianza preziosissima di Uschi Waser - testimone del progetto di Pro Juventute, separata dalla madre quando aveva tre mesi - andiamo a toccare il tema: l'azione di questa opera assistenziale sull'arco di 50 anni del secolo scorso ha colpito questa comunità marginalizzata. Semplicemente per una questione di razzismo».
Mi vuoi parlare di Alfred Siegfried?
«È stato l'artefice di tutto. Insegnante a Basilea, nel 1924 viene licenziato dopo una condanna per abusi sessuali su uno studente. Nello stesso anno viene assunto da Pro Juventute, per portare avanti quest'idea che in realtà era partita dalla Confederazione, come ci ha confermato l'avvocato Paolo Bernasconi nel settimo episodio. Pro Juventute è stata quindi il "braccio armato" di una campagna discriminatoria pesantissima verso questa comunità, solo per il suo essere nomade».
Nel podcast sottolinei come fu un problema sistemico, che riguardò le istituzioni a ogni livello (dai Comuni alla Confederazione, con il diretto coinvolgimento del consigliere federale ticinese Giuseppe Motta) e anche la società.
«Lo smistamento dei bambini strappati alle famiglie non veniva attuato solo da Pro Juventute o da alcune realtà cattoliche, ma anche dai Cantoni e dai comuni. Era la polizia che andava nelle case, nelle roulotte e nei campi a prelevarli, soprattutto quando non c'erano i padri. Il programma partì nel 1924 e diventò ufficiale nel 1926».
L'anno prossimo sarà un secolo...
«Chissà se ci saranno delle commemorazioni... Una delle cose che più mi ha colpito è che quasi nessuno in Svizzera conosce la vicenda, né tantomeno gli Jenisch. Sebbene abbiano il passaporto rossocrociato dalla fine dell'Ottocento».
Una figura che emerge luminosa è quella di Mariella Mehr.
«Non si poteva fare un podcast a tema Jenisch senza menzionarla o dedicare un episodio a questa poetessa, scrittrice e giornalista. Prima del 2024 non la conoscevo, ti dico la verità, ma poi nelle mie ricerche è emerso il suo nome e mi sono messa a studiare. Ho contattato Anna Ruchat, la sua traduttrice e lei stessa poetessa e scrittrice. Abbiamo del materiale audio che ci è stato gentilmente concesso da una società italiana, che l'aveva intervistata anni fa».
Una parola grava su questa vicenda: eugenetica.
«È una disciplina di cui sapevo pochissimo, ma è stato il professor Emmanuel Betta dell'Università La Sapienza di Roma a illuminarmi. Ho capito che la società non voleva "macchiarsi" con i geni di gente considerata inadatta, con gli indesiderati e i tarati. Tutti termini terribili, riferiti a qualcosa che esiste ancora. Il quarto episodio, "Buona stirpe", c'illumina su quanto accade ancora oggi, ad esempio con i test prenatali. Poi l'ho collegato alla mia maternità, come accade un po' per tutto il podcast - se penso a Pro Juventute e alle sue Lettere ai genitori».
Intrecci, lungo la narrazione, questa vicenda e la tua storia personale. Diventa così molto chiara una vicinanza, non solo empatica, ma di esperienze in qualche modo simili. «All'inizio non pensavo di aprirmi così tanto. Poi mi è stato suggerito dalle persone a me vicine che hanno ascoltato le prime bozze, ma anche dallo stesso Olmo: sentiti libera. È servito anche per avvicinare l'ascoltatore: io non sono Jenisch, non sono nemmeno svizzera. Ma racconto meccanismi e logiche che riaffiorano nel nostro drammatico presente, basta pensare alla Palestina. Meccanismi di cui, peraltro, non c'era consapevolezza qui».
C'è un intero episodio dedicato al Ticino, con la testimonianza di Ermete Gauro, fino al 2009 Delegato per l'integrazione degli stranieri e la lotta al razzismo. Hai parlato senza mezzi termini del "razzismo istituzionale" che tu, afrodiscendente, hai incontrato qui.
«Sono contenta che Gauro mi abbia spiegato come sono andate le cose e perché la Commissione cantonale nomadi abbia cessato di esistere. Penso che abbiamo seminato il panico nel Dipartimento delle istituzioni, chiedendo una presa di posizione al direttore Norman Gobbi. La risposta è condensata nelle quattro righe che leggo nell'episodio».
C'è una considerazione, in conclusione del terzo episodio, che mi sembra sia la chiave di tutto: «Questa storia non è solo personale, ma collettiva. È un richiamo alla responsabilità storica e alla necessità di ascoltare e riconoscere le voci, come quelle di Uschi». Perché hai scelto di raccontarla? Per evitare che qualcosa di simile accada di nuovo?
«Sì, l'idea è quella. È come per lo studio della storia a scuola, per evitare che certe cose si ripetano. Anche se poi guardiamo al presente... Volevo assolutamente dare voce a chi è stato messo a tacere, dare dignità e far conoscere questa comunità marginalizzata ai tanti che non sanno nulla di questa vicenda. Penso che tutti possiamo fare qualche piccola azione: indignarsi non basta più e la memoria rappresenta il primo passo verso la costruzione di una società più equa e consapevole».
Concludiamo con il titolo, "Mamera". Di nuovo ecco Mariella Mehr.
«Inizialmente avevo pensato d'intitolare il podcast "Figli strappati. La storia dimenticata dei bambini Jenisch". Poi quando ho letto "Mamera" nel saggio "Uomini e topi" di Mehr e del professor Betta, mi sono detta: "È perfetto". E abbiamo tolto "bambini" dal sottotitolo, trattandosi della tragedia di intere famiglie».
All’evento di domenica 19 ottobre, insieme all'autrice Taty Rossi, saranno presenti Uschi Waser, testimone della campagna Kinder der Landstrasse – la cui storia rappresenta parte integrante del podcast – e Agnese Làposi, montatrice del progetto. L’incontro sarà moderato dalla giornalista Natascia Bandecchi. "Mamera", dopo l'anteprima su RadioGwen, sarà disponibile sulle principali piattaforme di streaming, eccetto Spotify.