«È giusto che chi ha ucciso mio figlio possa rifarsi una vita»



Maurizio Tamagni, papà di Damiano, continua la sua missione di prevenzione contro la violenza giovanile. Dopo il suo recente appello sui media, è ospite di TioTalk.
Maurizio Tamagni, papà di Damiano, continua la sua missione di prevenzione contro la violenza giovanile. Dopo il suo recente appello sui media, è ospite di TioTalk.
SAVOSA/ GORDOLA - La ferita è ancora lì. Aperta. Dolorosa. E come dice lui: «Non si chiuderà mai». Nonostante tutto Maurizio Tamagni, papà di Damiano, ucciso brutalmente in una fredda sera di febbraio del 2008, è ancora in piedi. E porta avanti la memoria di suo figlio attraverso l'omonima fondazione. Proprio a nome della fondazione recentemente ha lanciato un appello a giovani e genitori. Appello di cui parliamo a Tio Talk.
Maurizio, cosa è scattato dentro di te in queste settimane?
«A colpirmi sono stati i fatti violenti di Lugano in merito al primo agosto. Con un ragazzo brutalmente picchiato. Non si tratta di un caso isolato. Piuttosto parlerei di un trend. Mi è venuto in mente che anche prima della morte di Damiano ci fu una serie di episodi violenti. A dramma avvenuto li interpretai quasi come campanelli d'allarme».
Tu oggi parli di giovani che non sono pienamente consapevoli delle conseguenze delle loro azioni.
«Spesso è così. Soprattutto quando gli autori sono minorenni. Siamo stati tutti ragazzi e abbiamo fatto tutti delle cavolate. Per carità. Però ci sono dei limiti oltre i quali le cose diventano gravi».
Con la tua fondazione vieni spesso chiamato nelle scuole per fare prevenzione. Trovi dei giovani recettivi?
«Sì. Come strumento di prevenzione abbiamo a disposizione anche il film "La violenza senza maschera", del regista Marco Bitonti, ispirato proprio alla tragedia di Damiano. I ragazzi capiscono. Ma noi non possiamo ovviamente arrivare dappertutto».
Nella tua lettera ai media hai bacchettato un po' anche i genitori.
«A volte si fanno figli senza poi volersene occupare. Non è normale che un genitore non sappia mai cosa fa suo figlio fuori dalla porta di casa».
Il fatto che oggi ci siano molti genitori separati è un problema?
«Non penso. Io conoscono tanti genitori separati che sono brave mamme e bravi papà. Questo fenomeno non va usato come scusante».
A un certo punto ti sei anche chiesto se per certi reati commessi da figli minorenni non debbano essere le famiglie a pagare.
«È un tema vecchio. Già bocciato in passato. A mio avviso potrebbe essere un deterrente. Quando un genitore si vede recapitare una multa salata per un gesto commesso dal figlio, magari inizia anche a occuparsi della sua educazione».
Sappiamo che quando ti chiamano per raccontare la tua testimonianza, una parte di te soffre ancora tantissimo. Cosa ti spinge dunque a continuare con la fondazione?
«La memoria di mio figlio. Aveva 22 anni e aveva vissuto fino a quel momento una vita intensa. Aveva un sacco di progetti. Mi chiedo spesso come sarebbe oggi. Non c'è giorno che io non pensi a lui. Allo stesso tempo l'ipotesi di riuscire a impedire anche una singola tragedia mi stimola a continuare. È un po' come se questa cosa desse un senso alla tragedia di Damiano. È altrettanto chiaro che ogni volta che ne parlo mi emoziono. Sta accadendo anche ora».
Ti capita mai di pensare ai tre ragazzi che hanno causato la morte di Damiano?
«Sono più gli altri a ritenere che dovrei pensarci. Questo perché magari sono stati visti da qualche parte. Io sono chiaro: hanno commesso qualcosa di tremendo. Però è anche giusto che abbiano la possibilità di ricominciare. Altrimenti diventerebbero dei casi sociali a carico della collettività. Non ho mai seminato odio nei loro confronti. Non porterebbe a nulla».



















