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Dal Ticino agli USA, Ludovico Basso sempre più immerso nel suo sogno

«Linda, la mia ragazza, non potrà venire con me: non siamo ancora sposati»
Dal Ticino agli USA, Ludovico Basso sempre più immerso nel suo sogno
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Dal Ticino agli USA, Ludovico Basso sempre più immerso nel suo sogno
«Linda, la mia ragazza, non potrà venire con me: non siamo ancora sposati»
«La porta principale era chiusa quindi ho dovuto trovarne una alternativa».

LUGANO - Il suo sogno, quello cullato fin da bambino, al primo contatto con la palla a spicchi lo ha realizzato: è arrivato in NBA. Solo che per farlo, Ludovico Basso ha “scelto” di percorrere una via alternativa. Non quella dritta che andava fino al portone principale della Lega più ricca, scintillante e ambita del mondo, ma un percorso tortuoso che lo ha fatto entrare dalla porta di servizio. Ma va bene lo stesso. Benissimo per il 32enne ticinese, ex promessa del basket rossocrociato fermatosi presto per un problema alla schiena. Tre anni fa, dopo gavetta e sacrifici e grazie a competenza e fortuna, è diventato International scout per i Philadelphia 76ers. E in Pennsylvania ha lavorato bene, attirando su di sé le attenzioni degli Orlando Magic, per i quali da settembre sarà scout per il mercato a stelle e strisce. Valuterà i talenti delle università.

«La porta principale era chiusa - ha raccontato proprio Ludovico - quindi ho dovuto trovarne una alternativa. La NBA vista da dentro è come me l’aspettavo, se non addirittura meglio. È un po' come una bolla felice. Non c'è minimamente paragone con le altre leghe, è proprio un altro mondo». 

Ti abbiamo lasciato a Philadelphia, da settembre ti ritroveremo a Orlando. C’è Disney World, Cape Canaveral, le zanzare… non hai però scelto di cambiare per questo…
«No, e a dire il vero per almeno tre anni non vivrò a Orlando, ma vivrò a Indianapolis. Nel Midwest: dovrò occuparmi di quella regione, che è ricchissima di college. Poi, siccome tutti gli scout devono vedere i giocatori che andranno al draft, durante l'anno mi dovrò anche spostare per vedere i ragazzi delle altre Conference. A Philadelphia stavo bene e non l’avrei mai lasciata per fare lo stesso lavoro in un’altra franchigia. Però quella datami dagli Orlando Magic è una grande opportunità per il mio percorso professionale. Diciamo che, per quello che faccio, andare negli Stati Uniti era uno step naturale». 

Fino a prima dell’estate, pur essendo un “tesserato” NBA, la tua base era a Lugano. Ora si cambia vita.
«Vero, ma sinceramente non la vivo in maniera tragica come la sta vivendo la mia famiglia. Per come sono fatto io, non ho detto niente a nessuno finché le cose non si sono concretizzate. Quando ho chiamato i miei genitori per avvisarli ero alla Summer League di Las Vegas, ho telefonato e ho detto: “Guardate che mi trasferisco negli Stati Uniti”. All'inizio è stato uno shock, ma adesso si stanno adattando». 

Biglietto e via?
«All’inizio, come fa per ogni giocatore, mi aiuterà la squadra. Per la casa e tutte le cose principali. Poi quando avrò tutte le carte in regola per poter affittare un appartamento a nome mio, comprare una macchina eccetera, troverò una sistemazione a lungo termine». 

Papà e mamma ci hanno messo un po’. Nella vita di Ludovico ci sono però anche Linda, la ragazza, e Malibù, il cane…
«Ci saranno dei sacrifici da fare. Linda, per esempio, non potrà venire con me. Poi, non siamo ancora sposati… c’è insomma tutta una serie di elementi di cui tener conto…».

Parlando di matrimonio ti stai mettendo nei guai.
«Sì, anche se era già nei piani, diciamo. Solo questa situazione velocizzerà un po’ le cose». 

Junk food, pick-up, armi da fuoco… pronto ad americanizzarti?
«Quello che più mi affascina di questa avventura è sicuramente il lavoro. La possibilità di fare un’esperienza in un altro paese. Gli USA poi… io sono un po’ cresciuto con quel mito». 

C’è invece qualcosa che ti spaventa?
«No, anche se, per esempio, chiaramente mi spiacerà lasciare la mia famiglia, con i miei genitori che non sono più giovanissimi. Allo stesso tempo loro sono stati i primi a spingermi: “Se è il tuo sogno...”».

In un film di qualche anno fa, Hustle, Adam Sandler è uno scout alle prese con giocatori che si propongono in maniera anche particolare. È capitato anche a te?
«No, ma solo perché gli scout non possono avere interazioni con i prospetti eleggibili al draft. È vietato. Puoi parlare con allenatori, compagni di squadra, chi vuoi, ma non loro o la loro famiglia». 

Sempre in Hustle, alla fine Sandler finisce con il diventare assistant-coach.
«Io non lo farò. Questa nuova avventura sta per cominciare ma, guardando al futuro, a me piacerebbe dirigere il mio gruppo di scout, o diventare il responsabile scout per una franchigia. Non è un traguardo impossibile da raggiungere, ma ci vorranno anni».

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