«È un vivere molto più intenso di chi sta otto ore al giorno davanti al computer»



Werner Kropik, documentarista e viaggiatore residente a Lugano, ci racconta delle sue avventure in giro per il mondo. «In Siria mi hanno puntato in testa cinque kalashnikov».
Werner Kropik, documentarista e viaggiatore residente a Lugano, ci racconta delle sue avventure in giro per il mondo. «In Siria mi hanno puntato in testa cinque kalashnikov».
LUGANO - «Molti riservano le vacanze e pianificano alloggio, vitto e attività nei minimi dettagli. Ma se è tutto prevedibile si toglie l’emozione del viaggiare». A dircelo, in questa nuova puntata di TioTalk, è il documentarista Werner Kropik, viennese di nascita e ticinese d’azione. Oggi 83enne, Kropik ha passato un’intera vita a viaggiare, e ha deciso di raccontare tutto in un libro, che si intitola, appunto, “Una vita in viaggio”.
«La voglia di scoprire il mondo è nata molto presto», ci spiega. «A 16 anni ho preso la bici di mio papà e, senza dire niente a nessuno, sono partito per diversi giorni a fare un giro per l’Austria. Ho rubato pane e pancetta dalla dispensa di casa e mi sono arrangiato come potevo, dormendo nei fienili. E per la prima volta ho provato quel senso di libertà di andare dove volevo, al mio ritmo, stando il tempo che volevo».
Pedalando fino ad Hong Kong - Tra le sue innumerevoli avventure, un viaggio in particolare ha segnato Kropik nel profondo: quello in bicicletta da Lugano a Hong Kong, fatto tra il 1994 e il 1995 insieme a un’amica. «Il viaggio è durato sette mesi e mezzo ed è stato molto intenso, perché non si sapeva mai dove saremmo arrivati la sera e dove avremmo trovato da mangiare. Ci è capitato persino di rimanere senz’acqua, in Iran, e abbiamo dovuto fermare un camionista per farci dare un po’ della sua».
Via dalla routine - Non mancano fatica e imprevedibilità, insomma. Ma per l’83enne c’è tanto di positivo. «Questo arrangiarsi giorno per giorno è un vivere molto più intenso di quello di chi finisce otto ore al giorno davanti al computer e vive una routine in cui un giorno assomiglia all’altro. La vita è una e quando ci alziamo la mattina dobbiamo essere motivati. Se uno pensa “chi me lo fa fare” la vita non ha senso. E dare un senso alla nostra vita spetta a noi».
«Ho dovuto difendermi da sette cani feroci» - Certo, viaggiando “minimal” e attraversando destinazioni remote ci si può trovare anche in situazioni pericolose. «In generale devo dire che il mondo è molto meglio di quello che si può credere», premette Kropik. «Posso però dire di aver avuto delle brutte esperienze con i cani dei nomadi tibetani, nello specifico della tribù dei Golok, perché vengono lasciati liberi giorno e notte e sono molto selvaggi. Una volta, insieme a un’amica, ho dovuto difendermi da sette di quei cani feroci…fortunatamente una signora della zona ci aveva dato dei “kurgur”, degli aggeggi composti da corda e da una sorta di clave in ferro. Con quelli fortunatamente siamo riusciti a spaventare i cani, perché se fossimo rimasti feriti sarebbe stato un grosso problema: l’ospedale più vicino si trovava a dieci ore di macchina».
«Mi hanno puntato cinque kalashnikov in testa» - In un’altra occasione, invece, ad allarmare il nostro viaggiatore sono stati degli esseri umani. «Ero in Siria con un amico e ci siamo accampati in un terreno che fiancheggiava il mare. Intorno alle 21 ho visto aprirsi la chiusura lampo della tenda e in un attimo mi sono ritrovato con cinque kalashnikov puntati alla testa. Queste persone non parlavano inglese, ma tramite un loro superiore abbiamo scoperto che erano dei servizi segreti siriani. Due giorni prima a Damasco c’era infatti stato un attentato che aveva fatto 17 morti, ed erano in cerca dei colpevoli. Alla fine siamo riusciti a convincerli che eravamo solo dei viaggiatori di passaggio, così ci hanno detto che potevamo rimanere, ma che il mattino successivo ce ne saremmo dovuti andare, perché quella era una zona militare».
La stessa scena si è poi ripetuta alle 3 di notte. «Questa volta i kalashnikov erano della polizia, ma anche con loro siamo riusciti a chiarire tutto», precisa Kropik.
Le bellezze del Ticino - L’83enne, ad ogni modo, non ha solo il pallino delle destinazioni lontane. «In Ticino le bellezze non mancano, ma bisogna camminare. Non posso dire qual è il mio posto preferito, perché ci sono stato varie volte con una mia amica dell’Uzbekistan e non abbiamo mai trovato nessuno. Lei mi ha fatto promettere che non avrei mai rivelato la location, perché non vogliamo che si ripeta un’invasione come quella di Lavertezzo, portata dalla viralità del video delle “Maldive di Milano”».
«Ho rirubato la mia bici» - E restando in Ticino, recentemente, Kropik ha vissuto una disavventura che l’ha lasciato con l’amaro in bocca: il furto della sua bicicletta, una Kettler che l’ha accompagnato in 30 anni di viaggi e che nel suo libro ha descritto come «il suo primo amore». «Me l’hanno rubata a maggio, fuori dalla mia casa di Lugano», spiega. «È stato peggio di perdere la moglie, perché la moglie ti può tradire o contraddire. Con la bici sai dove sono i freni, mentre con la moglie non lo sai», ironizza.
Ma il valore sentimentale, indubbiamente, è enorme. «Fortunatamente il mese scorso un amico mi ha chiamato e mi ha riferito che aveva visto la mia bici sulla strada di Gandria, legata alla barriera con un lucchetto. Io ho chiamato la polizia e ho chiesto se potevano intervenire, al che mi hanno detto “mandiamo un’auto”. Io però ho spiegato che alla strada di Gandria si può accedere solo camminando, e loro mi hanno risposto “allora si arrangi lei”. Insomma, alla fine ho rirubato la mia bici, spaccando il lucchetto con un martello».
Recuperata la bici, il prossimo viaggio è già all’orizzonte. «Ho in mente di ritornare in Bangladesh, un paese molto povero che vive questa povertà con un’umiltà incredibile».
«Non ho ancora deciso di diventare vecchio» - Intanto Kropik, a 83 anni, sprizza energia da tutti i pori. «Non ho ancora deciso di diventare vecchio. So che non vivrò per sempre, ma vivo giorno per giorno. Ogni giornata, infatti, può regalare qualche bella emozione. Ho appena finito un documentario che parla proprio di questo: del trovare la bellezza nella banalità. Nella forma di un vecchio pezzo di legno, nei disegni nei sassi, nel fogliame autunnale, nelle cristallizzazioni del ghiaccio si può scoprire una bellezza incredibile, ma occorre drizzare le antenne. Perché è la bellezza che salverà il mondo».














