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«Siamo come lo yogurt, anche noi abbiamo una data di scadenza»

Marco Melandri, campione del mondo di motoGP da anni vive in Ticino: «Ho visto incidenti spaventosi non lasciare nemmeno un graffio e altri apparentemente banali, come quello di Simoncelli, tradursi in tragedia».
«Siamo come lo yogurt, anche noi abbiamo una data di scadenza»
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«Siamo come lo yogurt, anche noi abbiamo una data di scadenza»
Marco Melandri, campione del mondo di motoGP da anni vive in Ticino: «Ho visto incidenti spaventosi non lasciare nemmeno un graffio e altri apparentemente banali, come quello di Simoncelli, tradursi in tragedia».

SAVOSA - È un Marco Melandri a tutto tondo quello che si è raccontato ai microfoni di TioTalk. L'ex motociclista, oggi deejay a tempo (quasi) pieno, ha condiviso riflessioni sulla sua carriera, sulla sua vita in Ticino, sulla pandemia e su come sta vivendo la sua nuova fase artistica.

«Ho smesso di correre da ormai cinque anni – racconta –, e forse ho vinto anche relativamente poco per la fama che ho. Però ho corso in un periodo in cui la MotoGP andava in casa di chiunque». La popolarità di Marco Melandri continua, anche grazie a un profilo Instagram da oltre 190.000 follower. «C'è un po’ di tutto, non è organizzato: moto, vita privata, musica. Mi piace così, perché i social dovrebbero raccontare chi sei. Oggi molti lo fanno per lavoro e si è perso un po’ il concetto vero».

Dal 2022 l'ex atleta vive in Ticino con la famiglia. «Mi trovo veramente molto bene. Mia figlia ha quasi 11 anni, inizierà la prima media. Quando siamo arrivati, era in seconda elementare. Tutti pensano che sia venuto in Svizzera per le tasse, ma purtroppo non è così. Se fosse stato per quello, sarei dovuto venire nei primi anni 2000. Mi dispiace non esserci venuto prima, perché si sta davvero bene. In un’ora sei a Milano, in tre ore e mezza a Ravenna, dove sono nato e cresciuto. È un posto sicuro, mia figlia va in giro da sola e si è sentita a casa dopo pochi mesi».

La quotidianità in Ticino lo ha aiutato anche a scoprire un nuovo equilibrio. «Nel momento in cui sono arrivato, avevo smesso da poco di correre e stavo scoprendo una nuova vita. Conoscevo già un po’ di gente qui, mia moglie ha trovato un lavoro che le piace e ha incontrato amiche con cui lavorava tanti anni fa. Io mi sposto tanto, ma qui riesco a fermarmi anche per due settimane. Mi piace la montagna, il lago. Il Ticino offre tante scelte. E con la bici elettrica ho scoperto posti meravigliosi, anche dietro casa, tra Canobbio e Tesserete, fino al Monte Bar o Carona. Camminare non mi fa impazzire, ma la bici ti permette di allenarti e scoprire la natura».

La vera svolta è stata la musica. «La passione è nata quando avevo 14 o 15 anni, ho trovato il giradischi di mio padre con dei vinili. Giocavo con quello. In quegli anni Radio Deejay faceva musica dance, che era magica secondo me. Mio nonno mi offrì un lavoro come restauratore d’estate: 5.000 lire all’ora. Dopo tre mesi mi comprai due piatti economici. Poi, al primo anno di mondiale, dj Ringo mi disse: “Se vinci una gara, ti regalo una console con i Technics”. A metà stagione ho vinto e, il lunedì, suo fratello mi portò la console a casa. Non lo dimenticherò mai. Mi ha sempre aiutato a scaricare la mente dalle corse. Ora è una specie di lavoro per me. Ho suonato recentemente al Mugello, sono venuti su anche amici dal paddock MotoGP. Il 31 luglio sarò ad Agno, ci sarà un bel festival. Vi aspetto numerosi».

Con lui torniamo molto indietro nel tempo, agli esordi nel motociclismo. «Il numero 33? L’ho scelto perché se lo ruoti di 90° diventa MM, come le mie iniziali. Avevo iniziato con il 13, in onore di un ex pilota che mi aveva aiutato, perché all’epoca non potevo permettermi questo sport. Ma dopo un venerdì 17 disastroso nel '99, con il braccio rotto alla prima gara e i capelli viola, ho deciso di cambiare. Non ero superstizioso, ma dopo quell’anno ho detto: se posso, evito».

Sul tema della fatalità in pista, Melandri è lucido: «Sai che è uno sport pericoloso, ma non ti senti mai davvero in pericolo. Quando guidi, sei circondato da professionisti. Le cadute pericolose sono quelle in cui si resta in mezzo alla pista. Se inizi a pensare alla paura, hai già perso. Credo nel destino. Siamo come lo yogurt: abbiamo una data di scadenza. Ho visto incidenti gravissimi finire senza nulla, e cadute banali finire male. Come quella di Simoncelli: 60 chilometri orari, caduta semplice, ma, tornato in pista, è stato preso in pieno da Rossi. Non lo puoi controllare».

Marco Melandri, da campione del mondo di motociclismo a deejay… Alla gente come suona? «Sì, ogni tanto qualcuno storce il naso. Il nome aiuta a farti conoscere, ma poi ti devi guadagnare credibilità. Oggi tanti si improvvisano dj: io no, suono davvero. E quando mi richiamano, vuol dire che sto lavorando bene. Anche se mi fa strano essere chiamato artista, perché non so suonare neanche due note di pianoforte. Ma ci sto lavorando, faccio la gavetta. È un mondo complesso, ma sono determinato».

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