Alcune precisazioni riguardo al “maschile inclusivo”

Lucio Lorenzon, Presidente del Consiglio comunale di Mendrisio per la giunta Udc-Udf.
Lo scorso 5 maggio, sono stato nominato primo cittadino della città di Mendrisio e durante il mio discorso d’insediamento ho toccato diversi temi politici, come è abitudine fare ad ogni cambio di presidenza.
Una parte del mio discorso ha però suscitato forti reazioni. Non un passaggio riguardante temi politici, ma uno in cui ho indicato la mia scelta di conduzione, ossia l’adozione del “maschile inclusivo” nei miei discorsi.
Una decisione dettata unicamente dal desiderio di dare alle sedute più dinamismo - in linea, peraltro, con una guida emanata dalla Cancelleria Federale, che propone l’uso del maschile inclusivo come soluzione per la parità di genere - non di certo i motivi che taluni hanno voluto leggere in questa decisione.
Le reazioni al mio discorso si sono palesate ben presto. Alcune anche con toni e contenuti accesi, altre invece di sostegno e condivisione. Tutte hanno avuto un pregio: quello di rilanciare un tema che, sorprendentemente, pare ancora lontano dall’essere risolto. Ho quindi voluto andare a fondo alla questione riguardante il linguaggio inclusivo, cogliendo l’occasione di trasformare questa polemica in un’opportunità di approfondimento sul merito e sulla sostanza della questione “Parità di genere, linguaggio inclusivo e affini”.
Mi sono reso conto che si tratta di un tema molto divisivo e pure molto personale. Una scelta di stile che può certamente veicolare sensibilità diverse. Lungi però nel contesto in cui viviamo dalla mancanza di riconoscimento o rispetto. Questa è una lettura lecita, certamente, ma anacronistica.
La parità di genere passa necessariamente da un linguaggio inclusivo declinato anche al femminile? L’inclusività, nella sua accezione più ampia, è davvero percorribile e praticabile attraverso il linguaggio nella vita quotidiana, sia a livello istituzionale, sia a livello personale? Ho preso contatto con il servizio giuridico e il servizio delle pari opportunità della città, e ho interpellato diverse conoscenti con sensibilità politiche non per forza affini al mio campo politico. Non pago, ho avuto anche un incontro con l’associazione Rete Donna- che opera per promuovere le pari opportunità - con l’intento di analizzare e chiarire quello che alcuni preferiscono vedere come un problema.
Ne è scaturito che la grammatica italiana prevede e propone la declinazione delle varie professioni sia al maschile sia al femminile. Sottolineo che - per l’appunto – propone, non impone.
Il paradosso è che questo aspetto non sia stato minimamente citato nel mio discorso. Non di meno qualcuno si è sentito insultato e oƯeso, …per qualcosa che io non ho né detto, né negato.
Un segnale concreto, successivo al mio discorso di insediamento, lo ha dato anche il Municipio di Mendrisio inserendo il seguente preambolo in apertura del Messaggio
Municipale 30/25: “Il genere maschile è usato per designare persone, denominazioni professionali e funzioni indipendentemente dal genere”.
E se vogliamo allargare lo sguardo a livello cantonale, anche la Divisione della cultura e degli studi universitari, del Dipartimento dell’Educazione, della cultura e dello sport proprio recentemente ha inviato a tutti i fuochi una pubblicazione intitolata “Un’estate a regola d’arte”, intestando così lo scritto: “Cari genitori, cari ragazzi…”, del femminile nessun accenno. Considerata l’autorevolezza dei promotori di tale pubblicazione, viene da pensare che questa omissione non riguardi la mancanza di rispetto verso il mondo femminile, quanto piuttosto un’assodata situazione di riconoscimento che, proprio per questo, non richiede più di essere sottolineata.
Insomma, il rilancio, mio malgrado, di questo tema è certamente utile. La speranza è che questa occasione venga colta da tutti come un’occasione di confronto e si tralascino polemiche strumentali che, senza volontà di miglioramento, non aiutano a far progredire le tematiche legate alla parità di genere.