Gioie (tante) e dolori (gestibili) di un arbitro nostrano



Luca Piccolo: «A 14 anni al campo con papà perché non avevo neppure il motorino. Mi credevano un giocatore ma io dicevo: “No, sono l’arbitro”»
«Mia moglie amava il calcio prima, adesso un po’ meno».
Luca Piccolo: «A 14 anni al campo con papà perché non avevo neppure il motorino. Mi credevano un giocatore ma io dicevo: “No, sono l’arbitro”»
«Mia moglie amava il calcio prima, adesso un po’ meno».
BELLINZONA - È lì in mezzo per mettere ordine, per azzerare i dubbi, per permettere a tutti di concentrarsi sul lavoro da fare senza preoccuparsi di possibili fraintendimenti. Per aiutare, insomma. Nonostante ciò a fine giornata - questo è sicuro - in molti saranno scontenti del suo operato. Qualcuno lo avrà anzi anche preso a male parole.
D’altronde, se hai una divisa dai colori sgargianti, il fischietto in bocca e i cartellini in tasca, se quindi fai l’arbitro di calcio, non puoi pensare di chiudere un match e ricevere solo complimenti e pacche sulle spalle.
«Non mi è mai successo, neanche in amichevole - ci ha spiegato Luca Piccolo, 33enne bellinzonese che dal 2019 è arbitro di Super League - ma nel 99% dei casi c’è sempre rispetto e l’emozione finisce con il triplice fischio»
Fischietto in bocca perché eri scarso con la palla tra i piedi?
«A livello calcistico non ero tra i più forti ma la passione è nata “extra” rispetto a questo, nel senso che mi piaceva fin da piccolo fare l’arbitro, organizzare. Organizzavamo tornei alle Semine e, tra amici, si litigava spesso. Allora ho cominciato a dirigere io. Tutto è iniziato da lì».
Tutta la trafila fino al 2019, con l’esordio in Super League.
«Il sogno fin da quando cominci, nel 2006 nel mio caso, è arrivarci. Il pre-match, in quell’occasione, è stato diverso dagli altri».
Tanta gavetta e tanta preparazione.
«Ormai siamo degli atleti, con dei test da superare. Per mantenerci ad alto livello dobbiamo essere preparati fisicamente e mentalmente».
E conoscere chi si ha di fronte.
«Quando inizi ad arrivare in Prima Lega e poi ancora di più in Challenge e Super League, prepari la partita conoscendo i giocatori. Non significa essere prevenuto ma sapere chi sono gli elementi chiave. E questi non sono per forza i capitani. Tu devi sapere chi è il leader e devi cercare di avere un colloquio o un contatto: devi fargli capire che la partita andrà in porto se ci sarà collaborazione»
Collaborazione o meno, il fischietto è sempre criticato. Almeno, però, la tecnologia aiuta.
«Al Mondiale per club c’è stata questa novità dell’arbitro con la telecamera addosso. Per gli spettatori immagino sia stato interessante capire come ha visto una determinata scena e, magari, perché ha preso una decisione parsa controversa. Da casa riesci così a comprendere il perché di un fischio».
Poi c’è sempre il VAR.
«Quando il VAR ti richiama non è mai piacevole. Per il primo intervento ho sentito il cuore che batteva. In generale tu dici: “Ho fischiato perché ho visto così, sono convinto”. E poi… La peggior cosa è che ti mostrano su uno schermo, a pochi secondi da quando è successo, qualcosa che è completamente diverso da quello che hai visto in campo. Lì poi sai che hai le telecamere puntate, i giocatori che aspettano, tutto lo stadio che attende che tu prenda una decisione… È un’emozione che tutti dovrebbero provare per capire come si sente l’arbitro. Soprattutto per decisioni controverse o importanti».
Tanta carriera alle spalle, tanta davanti.
«Un passo alla volta, pensiamo ad arrivare alle 100 presenze in Super League, ora sono a ottanta» e tanti aneddoti da raccontare.«I più curiosi riguardano i miei inizi. A 14 anni arbitravo già in tutto il Cantone, andavo alle partite con mio papà perché non avevo neppure il motorino, e spesso quando arrivavo al campo mi indicavano lo spogliatoio dei giocatori. E io dicevo: “No, sono l’arbitro”».
Papà che in tribuna non ha mai sofferto per gli inevitabili insulti rivolti al figlio?
«No, no, come mia moglie d’altronde. Lo sanno, sono tranquilli. Poi in Svizzera interna parlano in Schwizerdütsch e quindi non capiscono perfettamente quello che mi dicono. Questo è d’aiuto, anche se le parolacce in italiano le conoscono tutti».
Moglie che dovrà sopportare una vita senza weekend liberi…
«Mia moglie amava il calcio prima, adesso un po’ meno. Diciamo che quando mi arrivano partite all’ultimo minuto, inaspettate, non è la più contenta del mondo».
Dovrà portar pazienza per un’altra decina d’anni, per un mestiere che comunque dà qualche garanzia economica.
«Non c’è da lamentarsi. Ma bisogna comunque, come i calciatori, sapere che la tua carriera arriva a una certa età. E da lì alla pensione devi avere altre entrate, altrimenti devi pianificare un po’ meglio il futuro».
Che è poi il tuo mestiere.
«Esatto, che è quello che faccio tutti i giorni».