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Una Stella negli abissi: «Era come stare sul Titanic»

Insieme al compagno si immerge per passione. «Serve preparazione per affrontare certe profondità. Ora sogniamo la laguna di Truk».
Stella Del Curto
Una Stella negli abissi: «Era come stare sul Titanic»
Insieme al compagno si immerge per passione. «Serve preparazione per affrontare certe profondità. Ora sogniamo la laguna di Truk».

ASCONA - Da quasi vent'anni scende dove la luce si affievolisce e il tempo si permea di senso. L'asconese Stella Del Curto sfida gli abissi con sguardo attento, pronta a catturarne le più straordinarie (e a volte inquietanti) sfumature.

I suoi compagni di viaggio sono il silenzio, relitti dimenticati o fondali colorati, la sua attrezzatura fotografica e, immancabile, il compagno Raffaele Mazza.

Raggiunta al telefono, ci ha voluto raccontare cosa significa vivere sospesa tra due mondi: quello degli uomini e quello dei fantasmi sommersi.

Com'è nata la tua passione per la subacquea e a che punto poi hai deciso di farne un percorso professionale?
«Da che ho memoria ho sempre avuto un buon rapporto con l'acqua. Ho solo dovuto aspettare il momento giusto o, meglio, quello in cui potevo finalmente permettermi questa che è un'attività un po' costosa. Quando ho iniziato a lavorare ho conosciuto un collega che era anche istruttore subacqueo. Ho iniziato con un semplice corso. La passione già c'era, il resto è stato naturale conseguenza».

Perché dici che è costoso?
«Spese per i brevetti a parte, che comunque ammontano ogni volta a diverse centinaia di franchi, c'è prima o poi da dover fare i conti con l'acquisto dell'attrezzatura. Una muta da sola può superare tranquillamente i 2mila franchi. Poi ci sono gli erogatori, il GAV... Non è una cifra stratosferica, ma non sono nemmeno briciole».

Certo è che da un corso base ad arrivare a immergersi in condizioni estreme è un bel salto.
«Direi più un passaggio graduale. La spinta è data dal voler scoprire posti nuovi e accrescere i propri orizzonti. Per affrontare certe profondità è ovvio che ci voglia esperienza. Ma, un po' come per la montagna, si parte dalla semplice escursione e pian piano si affrontano percorsi più impegnativi. Certo non si passa dal Cardada Cimetta agli 8mila metri».

Di recente avete portato a compimento quattro immersioni sul relitto del Hmhs Britannic, scoperto cinquant'anni fa da Jacques-Yves Cousteau. Il gemello del Titanic, per chi non lo conoscesse. È stata l'impresa più difficile da voi affrontata?
«No, abbiamo vissuto altre situazioni simili, anche se un po' più vicine a noi. Va detto che, essendo un'immersione a 120 metri di profondità, la si affronta previo allenamento. Quindi prima di cimentarci con il Britannic, abbiamo fatto un po' di immersioni in Liguria, visitando il relitto del sommergibile U-455, impiegato durante la seconda guerra mondiale e scomparso nel 1944».

La parte più complessa di questa preparazione in che cosa consiste?
«Senza dubbio gestire tutta l'attrezzatura. C'è un quantitativo abbastanza voluminoso di cose che bisogna portarsi dietro, tra bombole d'emergenza, lo "scooter", che ci consente di muoverci più velocemente sott'acqua, l'attrezzatura fotografica. Poi c'è tutto quello che va gestito fuori dall'acqua. Dalla vestizione al modo corretto di immergersi con tutta l'attrezzatura addosso».

Le difficoltà principali nel fare fotografia subacquea a grandi profondità quali sono?
«Sicuramente il poco tempo a disposizione. In questo caso specifico abbiamo fatto 25 minuti sul relitto, più 5 di discesa, e due ore e mezza di decompressione per tornare in superficie».

A cosa serve la decompressione?
«A sopravvivere. Quando respiriamo gas sotto pressione, a 100 metri sono 11 bar, l'elio e l'azoto, che fanno parte della miscela che andiamo a respirare, si sciolgono nel nostro organismo, nei nostri tessuti. In risalita dobbiamo dargli il tempo di fuoriuscire lentamente. Se risalissimo di corsa il nostro corpo subirebbe l'effetto di una Coca-Cola agitata e aperta di colpo. E di embolia si muore».

Ci sono mai stati dei momenti critici o imprevisti durante le immersioni?
«Qualche imprevisto. Ogni tanto può capitare che un elemento dell'attrezzatura fallisca, ma la manutenzione costante e tutta l'attrezzatura d'emergenza che portiamo appresso fa sì che il rischio sia molto limitato».

Un ricordo che porti nel cuore?
«Ne ho tantissimi... Di quest'ultima esperienza ho ancora vivida l'emozione del momento in cui mi sono trovata sulla poppa del Britannic che è identica a quella del Titanic. Chi ha visto il film si ricorderà delle tre eliche... Erano le stesse. È stato incredibile».

Un posto che sogni ancora di esplorare?
«La laguna di Truk, in Micronesia, disseminata di relitti. Questa zona è stata teatro dell'Operazione Hailstone, il grande attacco aereo sferrato dagli americani nel febbraio 1944 che distrusse la base giapponese di Truk. Io e il mio compagno stiamo già pianificando di andarci».

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