Rabadan 2026: un cambiamento da chiarire, con rispetto per tutti

Karim Spinelli
BELLINZONA - Con il recente comunicato stampa che annuncia la nuova Corte per l’edizione 2026 del Rabadan, la città di Bellinzona è stata informata di un passaggio simbolico importante: Re, Regina e Damigelle lasciano il timone dopo oltre un decennio. Il messaggio è stato scritto con toni garbati, celebrativi e fiduciosi. Eppure, tra le righe — e soprattutto tra le reazioni — qualcosa stona.
Il Rabadan è una tradizione viva, come giustamente ricordato. Ma è anche una festa del popolo, profondamente legata al territorio. E quando una figura come Re Renato Dotta, che da anni rappresenta con dedizione e umanità lo spirito carnevalesco, esprime disagio o contrarietà rispetto alla sua sostituzione, è lecito domandarsi: si è davvero trattato di un passaggio naturale o di una decisione maturata altrove, forse in modo indipendente dalle sensibilità del territorio e anche da quelle interne allo stesso Comitato?
La spiegazione ufficiale parla di “rinnovamento”, di “nuove idee”, di “continuità”. Eppure, chi conosce la Corte uscente sa quanto fosse ancora attiva, energica e apprezzata. Il Re è in piena forma, la Regina giovane e molto presente. Non sembra un cambio dettato da necessità oggettive, quanto piuttosto da una scelta strategica, forse già decisa da tempo, senza un vero confronto condiviso.
È bene ricordare che il Rabadan funziona, e funziona molto bene. L’affluenza è alta, l’entusiasmo contagioso, il meteo l’unico vero elemento incerto. Ma non sempre una festa partecipata è sinonimo di una gestione aperta e inclusiva. Può darsi che, dietro le quinte, le decisioni vengano prese in cerchie ristrette, senza piena trasparenza verso chi vive il Rabadan come un pezzo di sé.
Un’altra riflessione merita il ricordo del 2022, quando — a causa delle restrizioni — il Rabadan si è svolto in forma diffusa, nei bar e nei locali della città, senza palco, senza tendone e soprattutto senza biglietto d’ingresso. Eppure la festa è comunque avvenuta, in modo spontaneo, sicuro, vissuto. Quel carnevale, seppur atipico, ha mostrato che il Rabadan può esistere anche al di fuori della struttura della Società, e che ciò che conta davvero è la partecipazione popolare, non l’apparato. Il Rabadan è dei suoi sudditi, non di un singolo né di un gruppo ristretto.
Da tempo, inoltre, non risultano più pubblicati i verbali delle assemblee ordinarie, né i conti della Società Rabadan. Considerato il volume dell’attività, gli sponsor coinvolti, gli accordi con fornitori e partner, e l’importante indotto che la manifestazione genera per la Società stessa, è legittimo e doveroso attendersi la massima trasparenza.
Chi conosce il Rabadan sa bene che non è una piccola festa di paese, ma un’organizzazione strutturata, con impatti economici significativi. Proprio per questo, una gestione aperta, accessibile e documentata dovrebbe essere la norma, non un’opzione lasciata alla discrezionalità.
Infine, resta il tema dell’identità e della visione. Non è in discussione la competenza o l’impegno di chi oggi guida la Società Rabadan, ma è lecito interrogarsi su quale visione culturale e organizzativa stia orientando la festa. Il Rabadan è una manifestazione che nasce dal basso, fortemente radicata nella storia e nel tessuto sociale di Bellinzona. Chi ha l’onore di condurla dovrebbe farlo nel solco di questa identità condivisa, favorendo il dialogo con il territorio e valorizzando le persone che, con dedizione e passione, l’hanno resa ciò che è.
Non può inoltre sfuggire una considerazione che, pur delicata, è necessaria. In una città dove il tessuto sociale è anche fortemente legato alle dinamiche politiche, sarebbe auspicabile che il Rabadan rimanesse estraneo a ogni influenza partitica. Il presidente della Società Rabadan è noto per la sua vicinanza all’area del Centro, mentre l’attuale Re è da tempo legato all’area PLR. Se anche solo il dubbio che il cambio della Corte possa essere stato motivato da logiche politiche si facesse strada, saremmo di fronte a un fatto ampiamente fuori luogo. Il Rabadan non è né di un partito né di un comitato: è dei suoi sudditi, e i sudditi meritano ascolto e rispetto, anche quando le decisioni spettano formalmente a un organo ristretto.
A questo proposito, non è la prima volta che avviene un cambiamento di Re deciso in questo modo. Se la memoria non inganna, in passato vi fu un solo altro caso simile. Anche allora, la scelta non fu ben accolta dalla maggior parte delle persone. È un precedente da non dimenticare.
Il mio intento non è polemico, ma costruttivo: cambiare si può, e talvolta si deve. Ma farlo con, non al posto di chi ha dato tanto, sarebbe segno di maturità e riconoscenza.
Il Rabadan batte il cuore di Bellinzona. Facciamo in modo che quel battito resti sincero, condiviso e trasparente.