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STEPHANIE BRENTA

«Quanta fame e freddo. Così era Lugano "vestita" da guerra»

Stephanie Brenta, cittadina luganese di 97 anni
Foto S. Brenta
Fonte Stephanie Brenta
«Quanta fame e freddo. Così era Lugano "vestita" da guerra»
Stephanie Brenta, cittadina luganese di 97 anni

LUGANO - Stavolta sarà un po' lunga. Non si può raccontare una guerra di sei anni +3 in un fiato. E parlerò solo della parte svizzera. Gli orrori e la brutalità e lo spavento che ci circondano cercherò di raccontarveli più tardi. Mi concentro qui. Certo che le notizie che ci arrivavano ci riempivano del terrore di essere invasi e di subire la medesima sorte. Era già brutto quello che avevamo noi, ma in fondo nulla in confronto alle torture e ai maltrattamenti, ai crimini e alle violenze che succedevano fuori dai nostri confini.

Il 1° settembre del 1939. Fuori infuria la guerra. La gente ascolta di nascosto le poche notizie che trasmette Radio Londra. Sentivi le 4 note battute da un tamburo, la Quinta sinfonia di Beethoven.

È una vita di stenti, di freddo e di paura. La Germania aveva invaso la Polonia, voleva annettersi tutta l'Europa. C'era un razionamento da fame: niente petrolio, niente gas, l'elettricità a ore, 35 litri di benzina al mese, tessere colorate per tessili, per carbone, per la carne, il pane, per i grassi, per il latte, la pasta, lo zucchero. Il riso non esiste, al mercato nero lo trovi, viene contrabbandato dall'Italia, ma i prezzi al mercato nero son troppo cari per le persone poco abbienti.

Le patate razionate sono liofilizzate, le uova in polvere, il pane obbligatoriamente duro, almeno da tre giorni, così ne consumi meno. Le calzature. Il sapone razionato lo imballavamo nella carta stagnola, così c'era una sola facciata da usare per risparmiarlo.

Le poche macchine e i mezzi pubblici erano munite di un inestetico aggeggio, sembrava una stufa che bruciava pezzi di faggio la cui combustione alimentava i motori. Si chiamava gasogeno, montato dietro il cofano e che sbandava in curva. Ci si lavava poco in inverno, eravamo invasi dal gelo e i bagni con acqua fredda erano una tortura. Per dormire ci si vestiva di più.

Si passava l'estate nel lago per compensare il manco di igiene. Sui vetri c'erano sempre tante belle stelle di ghiaccio. La lana cellulosa non scaldava nessuno. La Svizzera non è grande e la sua terra non basta per nutrire tutti. Il piano Wahlen cercava, con il razionamento, di dare un po', molto poco a ciascuno. Avevano raccolto tutto quel che si poteva dal terreno e siccome dovevamo essere indipendenti dai Paesi esteri che non potevano più fornire niente, si doveva coltivare tutto qui e doveva essere diviso tra tutti. Gli uomini erano "a militare", così si diceva, le donne con i rifugiati lavoravano nei campi e facevano acrobazia con intrugli incredibili per nutrire la famiglia.

Ho sofferto tanta fame ma il peggio è il freddo, dal quale non si può sfuggire. Prima della guerra, si comprava la marmellata in secchi di tolla dorata. Con questi secchi si andava nelle cucine degli alberghi a racimolare i resti del rancio dei soldati. Una cosa spaventosa, ma prova ad aver fame!

I rifugiati, soldati del regno di Polonia e della Jugoslavia, gli ebrei e tutti gli altri sono internati in campi composti da baracche di legno, fuori dagli abitati. Dentro ci sono separazioni di legno a mo di cella, con otto cuccette di legno sopra e sotto dove si dorme sulla paglia.

Per uscire si deve chiedere il permesso. Proibito comunicare con la popolazione. I beni venivano ritirati e depositati e per averne l'accesso bisognava chiedere il bene placito alla polizia. Il Ticino era un po' più liberale. I polacchi uscivano sotto sorveglianza a fare le strade, vedi il Susten, Losone e aiutavano nell'agricoltura.

Qualche vecchio albergo era stato concesso a qualche privilegiato. Anche i nostri soldati han passato sei anni in tende sulla paglia o dove potevano dormire all'occasione, nel freddo del Gottardo, a 3000 metri e nel gelo: erano stanchissimi e gelati. C'erano cartelli affissi ai muri, con un'ombra con un dito sulla bocca e lo scritto "silenzio, il nemico ti ascolta".

A Lugano, in corso Pestalozzi, la pensione Stauber pullulava di uomini politici italiani. Il Bar Argentino, in piazza Riforma, era il covo dei fascisti e le liti non mancavano.

Aspettavano il Duce e avevano già scelto chi avrebbe governato la città e lì giù botte. E poi arrivò l'oscuramento: nelle notti senza luna a volte perdevi il senso dell'orientamento. Con il grande bombardamento di Coventry, nel 1940, cominciarono i bombardamenti di rappresaglia su Milano e tutto passava sopra le nostre teste.

Ogni notte ululavano le sirene e le fortezze volanti con un rombo infernale ci passavano sopra, anno dopo anno.

Ci prese una sorta di rassegnazione, accompagnata da ansia e timore. In sei anni ci passarono sopra 6'500 bombardieri, ne caddero 250 in Svizzera e fummo colpiti 70 volte con morti e feriti. Interveniva l'antiaerea.

Nel '39, il generale Guison si trovò con un'armata senz'armi, però non durò a lungo che la Svizzera si riarmò. L'industria delle armi era fiorente. Noi eravamo nel mirino. Da una parte Hitler con il progetto Tannenbaum aveva deciso di invaderci, dall'altra parte il Duce voleva annettersi il Ticino.

Per fortuna attesero. Avevano bisogno delle banche svizzere per depositare i denti d'oro delle vittime dei lager e del passaggio dei treni carichi di ebrei che venivano trasportati dall'Italia nei lager in Germania e le armi che si facevano mandare dalla Svizzera.

Ricordo nel '42 le notti in collegio, i lunghi dormitori con una sola lampadina dipinta di blu e le finestre con tende incatramate e sopra il rumore degli aerei che passavano e passavano. Quando c'era il vento sentivi il rumore delle bombe sopra Milano e si scorgeva il cielo che si rischiarava di rosso.

SEGUE


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