«Gravi negligenze. E nemmeno delle scuse per la perdita di un padre e un marito»

Operaio morto sul cantiere: chiesti otto mesi di detenzione sospesi con la condizionale per l'operaio e il capocantiere, dieci mesi per il tecnico. La difesa spinge per tre assoluzioni.
LUGANO - «Tutti sono stati negligenti. E non c'è stata nessuna scusa per la morte dell’operaio, per la perdita di un padre e un marito». Lo ha detto stamattina alle Assise criminali il procuratore sostituto generale Moreno Capella, chiedendo la condanna dei tre imputati accusati di omicidio colposo per la morte di un operaio avvenuta sul cantiere dell'ex Hotel du Lac di Paradiso. I fatti risalgono all’8 gennaio 2021 e a perdere la vita fu un 54enne del Comasco.
Per il collega operaio e il capocantiere la pubblica accusa ha chiesto una pena di otto mesi di detenzione sospesa con la condizionale per un periodo di due anni, mentre per il tecnico sono stati proposti dieci mesi, sempre sospesi con la condizionale per due anni. La difesa ha invece spinto per l'assoluzione di tutti e tre gli accusati. La sentenza è attesa entro la fine di novembre.
La vittima, lo ricordiamo, venne colpita alla testa da un telaio in legno gettato da un collega, attraverso il vano dell'ascensore, dal sesto piano dell'edificio. Il tutto avvenne nel quadro di una procedura di lancio di materiali che andavano convogliati al pianterreno.
«Nessuna istruzione, copiava ciò che vedeva» - «L'inchiesta ha appurato una serie di carenze in materia di sicurezza del cantiere», ha spiegato Capella. «Va evidenziata l'assenza dei parapetti ai piani, così come di qualsiasi tavola fermapiedi. Non vi era poi una porta dell'ascensore, ma nemmeno una copertura, e intorno al lift non era stata definita alcuna area di pericolo».
La procedura di lancio del materiale, che in teoria comportava una doppia richiesta di lancio da sopra e una doppia autorizzazione da sotto, «non è inoltre stata oggetto di nessuna verifica empirica seria. E non emerge che sia stata data alcuna precisa istruzione agli operai. L'imputato che quel giorno lanciò il telaio, infatti, operava copiando ciò che vedeva fare dai colleghi».
«Un sistema di comunicazione quasi primitivo» - Il procuratore ha poi evidenziato che la comunicazione tra lanciatore e controllore avveniva a voce, usufruendo del vano lift, anche quando la distanza tra i protagonisti era di sei piani (per un totale 18 metri) e mentre si stavano effettuando altri lavori che producevano rumori. «Un aspetto, questo, che non poteva non essere considerato in un sistema già di per sé grezzo, quasi primitivo se pensiamo ai mezzi oggi a disposizione».
La pubblica accusa ha quindi analizzato le responsabilità dei singoli.
«Ha aspettato troppo» - «Il primo imputato, l'operaio, si stava occupando dei lanci. Dopo il "butta!" della vittima, invece che procedere immediatamente, attende di terminare la conversazione con il collega. Per quanto tempo? Stando a quest'ultimo "una decina di secondi". Poi, senza ulteriore avvertimento o richiesta, invia l'anta giù per il vano. Così facendo il 50enne viola due volte le regole, dapprima non procedendo a chiedere conferma per il lancio, e poi non dando immediatamente seguito al via libera al lancio. Agendo in questo modo, commette un atto in rapporto di causalità diretta con la morte del 54enne».
«Contraddizioni e omissioni» - Il capocantiere, in corso di inchiesta, avrebbe invece reso delle «affermazioni contraddittorie e imprecise». «L'impressione è che voglia attenuare le sue responsabilità: le sue dichiarazioni non reggono il confronto con quelle dei lavoratori. Egli non si è mai adoperato per sorvegliare, verificare ed eventualmente apporre i necessari correttivi alla procedura di lancio. E questo ben sapendo che l'operazione e le modalità scelte comportavano un alto grado di pericolosità. Ha tenuto un comportamento omissivo, in assenza del quale la morte del 54enne non sarebbe probabilmente avvenuta».
«Si è disinteressato del cantiere» - Infine, il tecnico «ha pianificato le misure di sicurezza, in concerto con il capocantiere, e ha incaricato quest'ultimo di procedere all'istruzione dei lavoratori secondo queste direttive. Da lì in poi si è completamente disinteressato della sicurezza del cantiere. Non ha partecipato ai lanci di prova, e già questo aspetto suscita non poche perplessità e inquietudini».
Il piano per la sicurezza, oltretutto, «lasciava aperte non poche e centrali questioni, quali le modalità di comunicazione e la designazione della persona "controllore" al pianoterra. Senza parlare della scelta di non procedere a sbarrare la zona di pericolo del lift». Il tecnico «non ha infine tenuto conto del rumore del cantiere e del traffico antistante. Tutto questo pur essendo ben cosciente che il sistema adottato era certamente quello più pericoloso per gli operai».
«Un'azienda che ha disatteso le misure di sicurezza più basilari» - La parola è quindi passata all'avvocato Niccolò Giovanettina, che ha chiesto l'assoluzione dell'operaio che gettò il materiale. «Nella storia di questo caso ci sono due cantieri. La versione 1, quella descritta dal capocantiere e dal tecnico, che vede un cantiere dove tutto era organizzato perfettamente, ma in cui sostanzialmente gli operai hanno disatteso le norme di sicurezza, benché queste fossero state dovutamente spiegate. Poi c'è la versione 2, il cantiere versione realtà, quello che hanno visto gli operai e la Suva».
«Non è giusto che si porti in aula un operaio quando una grande azienda ticinese ha disatteso le misure di sicurezza più basilari», ha proseguito Giovanettina. «Cosa si può rimproverare a un operaio, l'ultimo arrivato, di fronte a mancanze così importanti sul cantiere? L'ha detto lui stesso "io guardavo cosa facevano gli altri": nessuno si è degnato di dargli delle istruzioni».
Tempistiche dubbie - Al 50enne, ad ogni modo, si contesta di aver aspettato troppo a scaricare il materiale, circa dieci secondi. «Ma se si prende la versione del mio assistito non sono passati dieci secondi, ma solo due o tre», ha sottolineato l'avvocato. «La versione del collega che al momento dei fatti stava parlando con lui, invece, cosa dice? "Non lo so esattamente, stimo che tra il "butta!" e quando ho sentito l'impatto del pannello siano passati dieci secondi, ma è una mia percezione". Non parliamo quindi di dieci secondi di attesa, ma di dieci secondi al momento dell'impatto, con una discesa di sei piani, oltre al fatto che l'operaio non si dice sicuro e parla di "una sua percezione"».
Al momento dei fatti «non vi erano poi rumori sul cantiere, quindi il lancio non è stato fatto in condizioni che ostacolavano la comunicazione».
«Gli operai non sono impazziti» - In definitiva, per Giovanettina, «è morta una persona perché quel cantiere non era all'altezza delle norme di sicurezza svizzere. E bisogna tenere conto della responsabilità sociale dell'impresa. Non sono gli operai che sono impazziti e hanno preso decisioni, come ha detto il tecnico, "in totale anarchia"».
Dito puntato contro la vittima - Ben diversa la posizione dell'avvocato Andrea Gamba, che ha chiesto l'assoluzione del capocantiere. «Tutte le comunicazioni dei lanci si sentivano benissimo, non vi era bisogno di mettere la testa nel vano dell'ascensore. Ma la vittima l'ha fatto, e senza casco. Ha agito in maniera imprevedibile e altamente imprudente. Si cerca però di dare la colpa a qualcun altro, in particolare ai tre imputati».
Durante la procedura di smantellamento, «gli operai avevano inoltre già effettuato circa 3'000 lanci senza alcun problema, prova ne è che il sistema messo in piedi era valido».
«Non ha messo in pericolo i suoi operai» - L'imputato, ha insistito Gamba, «è stato definito un capocantiere fuoriclasse, mai avuto un rimprovero, mai violato le regole. E non emerge nessun elemento che porta a pensare che abbia messo in pericolo i suoi operai».
L'avvocato Goran Mazzucchelli, in conclusione, ha chiesto l'assoluzione del tecnico.
La perizia di parte - L'avvocato ha sottolineato che nel concetto di sicurezza elaborato dal suo cliente era previsto l'utilizzo di parapetti, mentre per gli aspetti relativi alla zona di sicurezza contestati dalla Suva si è appellato a una perizia di parte commissionata a un'azienda specializzata. Perizia, questa, che ha giudicato "adeguata" la modalità messa in atto sul cantiere.
Per quanto concerne invece l'istruzione degli operai, Mazzucchelli ha evidenziato che è il capocantiere che deve occuparsi della formazione relativa ai concetti di sicurezza. «Il tecnico informa il capocantiere, ma è lui che si occupa dell'istruzione. Se no a cosa serve il capocantiere?!».
E per finire ci si è nuovamente focalizzati sull'agire del deceduto. «Era imprevedibile che la vittima potesse mettere la testa nel vano lift pochi secondi dopo aver dato il via libera al lancio».