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LUGANO

«Non è un mostro»

La tesi della difesa del 22enne ticinese apparso oggi alle Assie criminali: «L’imputato sta cercando di migliorare, non è una commedia».
TiPress
«Non è un mostro»
La tesi della difesa del 22enne ticinese apparso oggi alle Assie criminali: «L’imputato sta cercando di migliorare, non è una commedia».

LUGANO - Testa bassa e sguardo fisso sul microfono (lo stesso microfono al quale il giudice presidente della Corte ha chiesto più volte di avvicinarsi per far sentire la sua voce). Così l’imputato 22enne, apparso oggi davanti alle Assise Criminali di Lugano, ha ascoltato la richiesta di pena formulata dal procuratore pubblico Simone Barca (8 anni e mezzo di carcere e un trattamento ambulatoriale). Dopodiché è intervenuto l’avvocato difensore Stefano Stillitano.

La difesa ha chiesto una pena di cinque anni e sei mesi (oltre a un trattamento ambulatoriale), alla luce anche della sua collaborazione fornita alla giustizia, per quanto riguardano sia i fatti del Blu Martini che quelli di Vezia.

«Non è un mostro» - «Da più parti si è cercato di far apparire un quadro più grave della realtà», ha spiegato l’avvocato Stefano Stillitano. «L’imputato sta cercando di migliorare, non è una commedia». 

Stillitano ha ripercorso le difficoltà, fin dall’adolescenza, riscontrate dal 22enne. «Ha avuto una vita travagliata e drammatica. La famiglia è la grande assente nello sviluppo del ragazzo. È caduto presto nella dipendenza dalla droga».

Famiglia assente e amici - «Dopo il percorso in comunità è riuscito a uscire dalla tossicodipendenza. Un passo non evidente che dimostra la forza di volontà del ragazzo. A 18 anni però si è trovato ancora da solo».

Detto questo, «non accetto che l’imputato sia fatto passare come un mostro e che venga sminuito il lavoro svolto con la psicologa in carcere».

Il sequestro di Vezia - Per quanto riguarda invece i fatti di Vezia Stillitano sostiene che il ragazzo non possa essere giudicato in modo più severo rispetto agli altri imputati. «Il progetto criminale non può essere ideato da lui, non conosceva neppure la vittima». 

Subito dopo i fatti di Vezia l’imputato è scappato in Serbia, ma dopo sei mesi ha deciso di tornare «per assumersi le proprie responsabilità. Può sembrare un passo banale, ma non lo è a 20 anni. Era tornato con l’idea di ricominciare. Diamo atto all’imputato di non essersi voluto sottrarre alla giustizia».

«La vittima non è una vittima» - Sugli avvenimenti del Blu Martini la questione è più spinosa perché «non si sono verificati nel modo rappresentato dall’accusa. È stata un’altra notte di ordinaria follia. Non intendo accanirmi contro la vittima ma dare un quadro completo».

Il gruppo di ragazzi di cui faceva parte la vittima avrebbe creato, secondo l’avvocato, disordini al locale Auberge prima della rissa. Tanto che è dovuta intervenire la sicurezza di un altro locale. «Non era da solo, ma aveva voglia di creare problemi».

«Voleva picchiare» - E ancora: «La ricostruzione dei fatti della vittima è inattendibile. “Non ricordo l’intera giornata” oppure “mi sono trovato circondato da un gruppo che si stava già picchiando”. Tutto falso, lui ha causato e dato il via alla rissa litigando con una persona che, a suo dire, non conosceva neppure. Insomma, nessuna ragione oltre alla voglia di menare le mani».

Il grande assente iniziale? Il 22enne alla sbarra oggi. «L'imputato non voleva guai, sta a osservare fino a quando vede il suo amico in pericolo e allora interviene». La vittima invece «ha fatto di tutto tranne che voler passare una serata tranquilla. Questo non assolve il mio imputato, ma non accetto che l'accusatore venga considerato come vittima».

Due momenti diversi della rissa - L'avvocato ha poi confutato la tesi secondo la quale l'imputato abbia voluto colpire la testa con il primo calcio (quello non andato a segno). «Non ci sono evidenze per confermare che voleva colpire il volto. Il punto di impatto non è certo. Il rapporto del medico legale è incompleto. Sono tutte supposizioni. Rigettiamo quindi l'accusa di tentato omicidio intenzionale».

La difesa ha chiesto quindi il proscioglimento dall'accusa di tentato omicidio per quanto riguarda la prima rissa.

«Nessun dolo» - Per quanto riguarda invece i due calci al volto avvenuti in seguito, «Dopo la rissa, l'accusatore non pago è tornato verso l'imputato per colpirlo. Solo per la prontezza del mio assistito il colpo è andato a bersaglio di striscio».

E poi i due calci in testa. «Non contestiamo l'accusa, ma il dolo diretto». Reagisce dopo un’aggressione «altrui e nell’arco di tre secondi nei quali l’imputato reagisce di puro istituto senza pensare alle conseguenze. La perizia psichica va quindi considerata (nella quale è emersa una forte impulsività). L'imputato non è vero che ha colpito per uccidere».

La sentenza è attesa per domani alle 16.

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