Due calci alla testa: «Voleva solo dare sfogo alla sua brutalità»

Rischia 8 anni e mezzo di carcere un 22enne ticinese protagonista di una rissa fuori dal Blu Martini e già responsabile di un rapimento avvenuto a luglio del 2023 a Vezia.
LUGANO - «È incapace di provare sensi di colpa». Conclusa la fase istruttoria, il presidente della Corte, il giudice Curzio Guscetti, ha lasciato spazio alla pubblica accusa, rappresentata dal pp Simone Barca, che ha formulato la richiesta di pena.
Sul banco degli imputati, apparso oggi davanti alla Corte delle Assise di Lugano, il 22enne del Luganese accusato di sequestro di persona, rapimento e violazione di domicilio per una spedizione punitiva avvenuta a Vezia, a cui si aggiunge il tentato omicidio intenzionale ripetuto, tentate lesioni gravi ripetute e rissa per un pestaggio davanti al Blu Martini.
La pubblica accusa ha chiesto, in totale, 8 anni e mezzo da espiare per ripetuto tentato omicidio (per i fatti del Blu Martini) e per sequestro e rapimento, i capi d'accusa di Vezia. Il tutto accompagnato da un trattamento ambulatoriale e da una multa di 500 franchi.
La pubblica accusa - «“Le abbiamo un po’ prese e un po’ date, ma uno di loro è tornato in ambulanza, quindi va bene lo stesso”», il procuratore pubblico ha iniziato ricordando il messaggio dell’imputato (su una chat Instagram) pochi giorni dopo aver preso a calci in testa un ragazzo all’esterno del Blu Martini e 10 giorni prima del processo che lo vedeva implicato per sequestro e rapimento. Messaggi che testimoniano, secondo l'accusa, il piacere che le scazzottate procurano all’imputato.
Nella sua requisitoria, Barca ha analizzato quanto successo. «La vita altrui non ha nessun valore per lui. Oggi compare un ragazzo che avrebbe dovuto essere già imputato per il sequestro di Vezia. Ma incurante delle già gravi accuse a cui doveva rispondere, il 22enne ha passato una serata al Blu Martini mettendo a rischio la vita di un altro ragazzo».
Crudeltà e violenza - «Per capire chi è davvero l’imputato e la rabbia che lo avvolge, basta ricordare i fatti accertati di Vezia che impressionano per crudeltà e violenza. Fatti che non si vedono spesso alle nostre latitudini».
Il pp ha insistito sull’estraneità dell’imputato rispetto alla questione economica alla base dell’azione punitiva. «Senza un motivo valido, ma solo per il puro piacere sadico di procurare male a una persona. Non conosceva la vittima e non avrebbe ricevuto alcun franco dal riscatto». Eventi che, secondo il pp, rievocano le immagini del celebre film "Arancia meccanica".
«Non conosceva neppure la vittima» - Sberle, calci e schiaffi. «L’imputato è stato il più cruento con un pugno al volto e con un tubo flessibile come una frusta. Violenze gratuite, poiché la vittima stava collaborando. Una collaborazione che non è stata sufficiente per evitargli le percosse».
«Quanto accaduto non è privo di conseguenze fisiche, ma anche psicologiche. Molte lesioni, la maggior parte delle quali sono state causate dall’imputato».
Una spedizione punitiva - «Il motivo per cui l’imputato si è unito alla spedizione punitiva non è chiaro («mi sono unito al branco, sono stato trascinato da loro»). Quello che è emerso è che l’imputato è capace di picchiare: quando lo fa, le conseguenze sono gravi e lui se ne vanta. Voleva dare sfogo alla sua brutalità».
Perché umiliare la vittima in questo modo? «Si è scusato ma non ha dato una spiegazione. È scappato all’estero ed è tornato solo alla fine della prima inchiesta. Non voleva andare in carcere».
I due calci alla testa - Una crudeltà che, secondo Barca, si ritrova anche durante la rissa del Blu Martini. «Per pura casualità il primo calcio non è andato a segno alla testa. Se con la forza impressa l’avesse colpito le lesioni sarebbero potute essere potenzialmente letali».
«Il calcio è estremamente grave e violento. Ma per lui non è sufficiente. La vittima era inerme, al suolo, distesa sulla schiena. Ed ecco che l’imputato sferra un altro calcio dalla potenza straordinaria al viso della vittima».
Fuga in Albania - E poi c’è stata la fuga in Albania. «L’imputato scappa dai luoghi dei fatti. Non si preoccupa di accertarsi delle condizioni della vittima. Ha pensato solo a se stesso ed è fuggito dalle sue responsabilità. Incurante di quanto accaduto e sapendo che sarebbe dovuto comparire in aula, va in Albania. Si è sottratto a un possibile, se non certo, procedimento penale».
«E lì si diverte e non pensa a quanto accaduto. Non pensa però solo a divertirsi. Sapendo delle possibili conseguenze cerca di inquinare l'inchiesta e le prove, tentando di convincere la vittima a far cadere le accuse».
«Non è un agnellino» - E ancora: «Non voleva difendersi, voleva sfogare la sua rabbia, farsi grande e vantarsi di quanto commesso. È una persona violenta e pericolosa. Durante l’inchiesta ha cercato di farsi passare per un agnellino, ma la verità è un’altra. Per lui picchiarsi è la normalità. È una persona a cui piace menare le mani».
«Trae godimento dalla sofferenza altrui per farsi bello con gli amici». L’accusa ha ripercorso più volte i fatti «per far capire alla Corte e all’imputato la gravità dei fatti. Un'escalation di violenza che va fermata. Altrementi non saremo qui a trattare un “semplice” tentativo ma un omicidio».
L'accusa privata - «Non è solo un ennesimo episodio di violenza giovanile», è intervenuta in seguito l’avvocata dell’accusa privata. «I fatti di quella notte si caratterizzano per la loro brutalità. Una violenza fredda, spietata e gratuita. Violenza alimentata dalla volontà di ferire e annientare che avrebbe potuto causare la morte di un ragazzo. Se con l’ultimo calcio avesse colpito non la mandibola ma un altro punto del cranio, il mio patrocinato sarebbe morto».