Shiffrin si è rialzata dopo settimane complicate

Dopo una brutta caduta avvenuta lo scorso novembre, Mikaela Shiffrin ha lottato con un disturbo post-traumatico da stress
VAIL - Era il 30 novembre 2024 quando la stagione di Mikaela Shiffrin a Killington prese una piega quasi drammatica. Dopo una caduta, la sciatrice americana aveva subito percepito che qualcosa non andasse. Sentiva come se alcuni coltelli le fossero penetrati all'interno del suo corpo, aveva raccontato in seguito, descrivendo la situazione. I medici, poi, le avevano detto che la caduta avrebbe potuto essere fatale: il colon, infatti, è stato evitato solo per pochi millimetri.
La 30enne riusciva a malapena a muoversi o a respirare, mentre era sdraiata sulla pista. I soccorritori cercavano di tenerla sveglia. Dodici giorni dopo è stata operata. La prognosi prevedeva circa sei settimane di pausa. L’americana si è concentrata sul percorso riabilitativo, ma questa volta la strada del ritorno è stata diversa e molto più tortuosa.
«Non importa se non correrò mai più»
Quando è tornata sugli sci, non si sentiva più sé stessa. «La mia mente sapeva cosa doveva fare, ma il mio corpo non riusciva a eseguirlo», ha raccontato la Shiffrin a The Players Tribune. Più volte ha interrotto le sessioni di allenamento a metà senza un motivo apparente. In quei momenti affioravano pensieri oscuri: «Non mi importava proprio se non avessi corso mai più», pensava.
Continuava a vedere immagini davanti agli occhi: cadute e dolore e il suo corpo era fragile. Si vedeva cadere su diverse piste, non come ricordo di Killington ma come una realtà incombente. «Avevo paura che potesse accadere di nuovo da un momento all'altro».
La sua terapeuta sospettava si trattasse del disturbo da stress post-traumatico. Anche l’americana stessa era convinta che la morte del padre nel 2020 e la grave caduta del suo fidanzato Aleksander Kilde a inizio 2024 influenzassero il suo stato di salute. Il disturbo da stress post-traumatico è diverso per ognuno. Non è come una tosse o una distorsione alla caviglia.
La lenta e dura lotta per tornare
Pian piano si è ripresa. La terapia l’ha aiutata. Ma qual è stata la chiave? Tornare ripetutamente al cancelletto di partenza. A poco a poco ha sentito il suo corpo interiorizzare di nuovo lo sci.
La sua visione è cambiata: non si trattava più di tempi o vittorie, ma di sentirsi sicura e in sintonia con il proprio corpo. È stato un processo passo dopo passo. «Nessuno può dirti quando hai superato qualcosa».
