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Lo chef che non vuole in cucina comunisti e omosessuali: «Siamo schiavi dei dipendenti»

Paolo Cappuccio, il cuoco finito al centro delle polemiche per un annuncio di lavoro discriminante, dopo avere chiesto scusa fa dietrofront e si scaglia contro i dipendenti scansafatiche
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Lo chef che non vuole in cucina comunisti e omosessuali: «Siamo schiavi dei dipendenti»
Paolo Cappuccio, il cuoco finito al centro delle polemiche per un annuncio di lavoro discriminante, dopo avere chiesto scusa fa dietrofront e si scaglia contro i dipendenti scansafatiche

TRENTO - Non gliene va bene una. A chi? Allo chef Paolo Cappuccio, balzato da qualche ora agli onori delle cronache per un annuncio di lavoro pubblicato sulla bacheca infernale di Facebook.

Che c'è di male, verrebbe da dire, se uno rende nota una ricerca di personale? Infatti. A meno che - sotto l'impeto di uno sfogo, come da iniziale mea culpa dichiarato - non riempi l'annuncio di una lista della spesa di tratti discriminatori che il candidato ideale non deve assolutamente possedere per ambire a entrare alla corte del Nostro.

Per esempio, cosa non si deve essere per essere ammessi a lavorare con lui? «Comunisti/fancazzisti, persone con problematiche di alcol, droghe e orientamento sessuale. Quindi se eventualmente resta qualche soggetto più o meno normale...» ha scritto il cuoco Cappuccio, non rendendosi conto probabilmente del putiferio dantesco che quelle parole avrebbero di lì a poco sollevato.

Come poi infatti è inevitabilmente accaduto.

Travolto dagli improperi del popolo della rete che ha continuato a incensarlo per ore con apprezzamenti non certo signorili e anche con «minacce di morte» come ha poi rivelato, ha tolto l'annuncio facendosi convinto di essersela cavata e di avere archiviato il caso.

Quando le telefonate dei giornalisti hanno cominciato a far squillare come a tutto spam il suo telefono, ha risposto che «se ho leso la sensibilità di qualcuno mi dispiace, però il senso del messaggio era cercare collaboratori. È stato uno sfogo di stanchezza mentale», come ha detto al Corriere della Sera.

Sfogo chiama sfogo: «Ci sono quattro milioni di disoccupati in Italia, cerchiamo dipendenti, non li troviamo e quei pochi sono alcolizzati, drogati, gente con problemi. E noi possiamo solo fare brutte figure con i clienti. Lavorare in albergo sta diventando una tragedia, non ce la facciamo più» ha sputato tutto il rospo del suo avvilimento, non avendo letto forse un'indagine della società Guru Jobs di Bologna che, analizzando l'andamento del mercato del lavoro nei primi 4 mesi del 2025, ha scoperchiato l'insoddisfazione dei giovani che dopo 45 giorni di lavoro se ne vanno per «la mancata crescita economica e professionale».

Ma Cappuccio é tornato a insabbiarsi nei gironi danteschi delle polemiche prima concedendosi a Hoara Borselli del "Giornale" rimarcando il "lavativismo" generale che attanaglia il personale di cucina («siamo passati dalla schiavitù degli anni '90 al fancazzismo più totale») e poi finendo tra le grinfie di Cruciani e Parenzo a la "La Zanzara" che, fra le altre cose, gli hanno chiesto conto in tema di discriminazione a proposito di quella svastica che si è fatto tatuare.

«Sotto la divisa non si vede - ha risposto - quando sarà illegale la falce e martello allora la toglierò. Poi non capisco perché Che Guevara fa figo e la svastica no?».

In 35 anni di lunga e brillante carriera tra i fornelli, immaginiamo non abbia avuto molto tempo da dedicare alla lettura e tanto meno allo studio di qualche manuale (o foss'anche un bigino) di storia, ma appaiono un po' ardite certe comparazioni. Comunque, non si è fermato qui: nel campo minato in cui si era addentrato giustificando il simbolo nazista, Cappuccio ha voluto rimanerci per riaffermare anche tutta la sua ammirazione verso Mussolini.

«Ha fatto tante cose buone poi si è alleato a Hitler e ha sbagliato. Ci hanno detto che la rovina del mondo erano Mussolini, poi il Fuhrer e per finire, Berlusconi. Ora che non ci sono più tutti tre, stiamo meglio?».

Il Cavaliere non sappiamo quanto avrebbe gradito l'accostamento, ma Cappuccio ha continuato a cucinare un pensiero dietro l'altro, anche quando messo all'angolo sul riferimento agli omosessuali ha liquidato la questione dicendo di essere stato frainteso: «Mi riferivo ai pedofili, un mio dipendente lo era e mi ha talmente segnato da non riuscire nemmeno a ipotizzare un’altra presenza del genere» ha confessato ai conduttori de La Zanzara.

Ma è più forte di lui, ce l'ha con gli scansafatiche: quando torna agli affari da cuoco non riesce a frenare un nuovo attacco alle "brigate" lavative (gli struscia ciabatte) che affollerebbero oggi le cucine dei ristoranti: «Siamo schiavi dei dipendenti, sono diventati i padroni, ci ricattano. Non posso riprenderli per un errore che si mettono in malattia o se minaccio di licenziarli, loro replicano che dovrò comunque pagarli per tutta la stagione» ha rimarcato al Giornale.

Se però si va a sentire qua e là cosa dicono gli "struscia-ciabatte", emerge che ad esempio - come ha raccontato un aiuto chef a Today descrivendo l'esperienza vissuta in un ristorante - «mi hanno offerto sulla carta part-time 20 ore per 600 euro, ma mi hanno subito detto che l’orario sarebbe stato full time e che mi avrebbero dato altri 600 euro, però fuori busta». In estate però le cose cambiano (in peggio), si lavora «sei giorni su sette» e alla fine, fatti due conti, si arriva a «uno stipendio di 3,6 euro all'ora».

Una paga oraria vicina a quanto dichiarato a Fanpage da un altro cuoco, che al famoso chef Alessandro Borghese che si lamentava anche lui di non trovare personale gli portava il conto del suo contratto lavorativo: «Mi ricordo, 12/15 ore anche nei festivi, assicurato a 4 ore, per 1.200 euro al mese. Questa è la ristorazione in alcune parti del Nord Italia».

Forse sarà anche per questo che anche gli chef stellati come Cappuccio faticano a trovare personale: lui però li vuole anche «normali»; ci aveva provato anche nel 2019 e poi anche l'anno dopo, quando in uno dei suoi coloriti annunci di ricerca di personale, sempre affidati alla bacheca di facebook, aveva indicato di astenersi dalla candidatura coloro che appartenevano alla «gente che gli piace la buccia». Firmato: lo chef simpatico, aveva messo in calce all'ermetico annuncio della scorza.

Un burlone, in fondo, questo chef-camerata.

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