Tumore al seno, le cellule immunitarie corrotte dal tumore

La scoperta a cura di uno studio di un team di ricerca IOR, guidato dalla professoressa Anna Calcinotto. Una svolta nella cura del cancro alla mammella
BELLINZONA - Un team di ricercatori guidato dalla Prof.ssa Arianna Calcinotto presso l’Istituto oncologico di ricerca di Bellinzona (IOR, affiliato all’Università della Svizzera italiana e membro di Bios+) ha identificato un nuovo meccanismo con cui particolari cellule del sistema immunitario, ancora immature, vengono reclutate e “corrotte” dai tumori della mammella ormonodipendenti ad alta proliferazione, tra i più aggressivi e difficili da trattare.
Queste cellule immunitarie, una volta infiltrate nel microambiente tumorale, cessano di difendere l’organismo e iniziano invece a produrre un metabolita che spinge le cellule tumorali a trasformarsi in cloni progressivamente più aggressivi, accumulando mutazioni genetiche che favoriscono la crescita del tumore.
«È come se il tumore riuscisse a reclutare un esercito di soldati inesperti e a trasformarli in alleati, capaci di fornirgli armi sempre più potenti», spiega la Prof.ssa Calcinotto. «Questo processo, seppur dannoso, ha però un lato inaspettatamente positivo: rende il tumore dipendente da una proteina che possiamo colpire con farmaci già utilizzati in clinica».
Il gruppo di ricerca ha infatti dimostrato, in modelli preclinici, che l’utilizzo di un farmaco già approvato per altri tipi di tumore è in grado di uccidere selettivamente le cellule tumorali modificate da queste cellule immunitarie immature, bloccando la progressione della malattia.
«Questa scoperta ci mette di fronte a una straordinaria opportunità: poter offrire rapidamente una nuova opzione terapeutica a un sottogruppo di pazienti con tumore della mammella particolarmente aggressivo, senza dover attendere lo sviluppo di nuove molecole», aggiunge la Prof.ssa Calcinotto. «Il prossimo passo sarà avviare studi clinici per testare questa strategia direttamente nei pazienti».
La ricerca, pubblicata su Nature Communications, apre la strada a un possibile riposizionamento terapeutico che potrebbe avere un impatto immediato nella pratica clinica, accelerando il passaggio dalla scoperta in laboratorio al beneficio per le pazienti.