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«Non chiamateli malati»

Percepiscono il mondo in modo diverso. E spesso sono vittima di pregiudizi. I ragazzi con ADHD "raccontati" dalla tutor Giovanna Bagutti.
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«Non chiamateli malati»
Percepiscono il mondo in modo diverso. E spesso sono vittima di pregiudizi. I ragazzi con ADHD "raccontati" dalla tutor Giovanna Bagutti.

BELLINZONA - L'ADHD associato al termine malattia. Capita spesso. E altrettanto spesso le reazioni sono forti. La sensibilità cresce sempre di più attorno al disturbo da deficit dell'attenzione/iperattività. Ne parliamo con Giovanna Bagutti, tutor dell'apprendimento per persone con ADHD.

Signora Bagutti, cerchiamo di capire perché l'ADHD non può essere definita malattia.
«È una neurodivergenza, un modo diverso di percepire e vivere il mondo. Di funzionare. Stiamo parlando di una differente struttura cerebrale che comporta difficoltà a livello di elaborazione delle informazioni, delle funzioni esecutive e di regolazione delle emozioni». 

E fin qui sono tutti d’accordo. 
«Il fatto inoltre è che l'ADHD non si può guarire. Ma si può imparare a gestirlo. Le caratteristiche generali sono difficoltà di attenzione e concentrazione combinata a iperattività o impulsività. È spesso accompagnato da altre neurodivergenze come per esempio i disturbi specifici di apprendimento, il disturbo oppositivo provocatorio, l’alto potenziale cognitivo». 

Le caratteristiche sono personali, mai uguali. Ed evolvono nel tempo.
«Le cause sono per l’80% genetiche ed ereditarie e per il 20% ambientali. E i numeri del fenomeno sono abbastanza alti: in Svizzera la percentuale è del 5% per quanto riguarda i bambini e i ragazzi, del 3-4% per gli adulti. Ogni anno in Ticino vengono diagnosticati più di 100 casi inerenti bambini e ragazzi». 

Si può dunque ipotizzare che in ogni classe scolastica possa essere presente almeno un allievo con ADHD?
«Per questo i docenti dovrebbero essere informati sulla tematica. Inoltre è importante per i bambini e i ragazzi con ADHD svolgere un percorso di terapia cognitivo comportamentale, utile per imparare a gestire e regolare le emozioni, oltre a sedute di ergoterapia, tutoring d'apprendimento, attività di mindfulness, sport, musica».

Cosa devono sapere i genitori? 
«Che è importante imparare strategie per fare fronte alle difficoltà di tutti i giorni. Credo che tutti in realtà debbano partecipare a momenti d’informazione e di formazione. Anche per abbattere quei falsi giudizi che possono toccare profondamente una famiglia». 

Lei raccoglie tante testimonianze. Ce n'è una che l'ha colpita particolarmente?
«Ad esempio quella della mamma di una bimba di 6 anni con ADHD. Un giorno al parco sua figlia è stata allontanata dal gruppo perché si è comportata in modo diverso. Le mamme consapevoli delle difficoltà della bambina hanno cominciato a parlare tra loro, guardando la madre e scrollando la testa».

Triste.
«Questo purtroppo è uno dei giudizi tipici che una famiglia che vive l’ADHD può incontrare, oltre a giudizi sull’educazione, sulla tecnologia, sulla storia familiare. In realtà questi fattori non sono assolutamente connessi con l’insorgenza e la manifestazione dell’ADHD».

E quindi?
«Purtroppo il mondo in cui viviamo non è stato creato per le persone neurodivergenti. In molti casi queste persone vengono allontanate ed escluse. C’è bisogno di inclusione e di comprensione».

A tal proposito lei ha creato qualcosa di bello. 
«Si tratta di un servizio a 360 gradi per famiglie, scuole e professionisti che vivono le sfide dell’ADHD. Mi occupo di formazione per i docenti, momenti d’incontro e di dialogo per i genitori e di supporto scolastico specializzato. Con bimbi e ragazzi lavoro sull’attenzione, sulla concentrazione, sull’organizzazione, sulla memorizzazione».

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