Quando le Alpi si sgretolano: «Una volta crolli come questi avvenivano ogni 20 anni, oggi ogni due»

Disastri come quelli di Blatten prima degli anni 2000 erano epocali, mentre adesso rischiano di diventare la norma. Perché succede e cosa si può fare? La parola all'esperto.
BLATTEN (VS) - Se c'entri direttamente davvero il cambiamento climatico, come sostenuto dall'Organizzazione meteorologica mondiale (OMM), ancora non è chiaro.
Quello che però è piuttosto inequivocabile è che frane, smottamenti e colate importanti diventano sempre più all'ordine del giorno in Svizzera, soprattutto nelle regioni alpine.
A sostenerlo, in intervista alla Nzz, è il direttore dell'Istituto urano della Kultura delle Alpi presso l'Università di Lucerna, Boris Previšic.
Eventi devastanti come quello di Blatten si verificano da sempre a ridosso delle Alpi, ciò che è cambiato in maniera netta è la frequenza «è l'ottava di questa entità dall'inizio del millennio, quando la media del secolo precedente era di circa quattro frane da un milione di metri cubi in... più o meno ottant'anni...».
Si parla, quindi, di un ritmo decuplicato rispetto all'inizio del secolo con eventi gravi ogni 2-3 anni. Almeno in alcuni di questi casi a incidere è lo scioglimento del permafrost, come è il caso della frana di Bondo (GR): «Con le temperature più alte anche le rocce diventano più permeabili all'acqua, diventando più fragili».
Il disastro di Blatten è un colpo doppio, da una parte per la popolazione del comune - Previšic parla di un «danno e di un trauma straziante» per gli abitanti che di fatto «ora sono rifugiati climatici» - ma dall'altra anche per la Svizzera stessa: «le Alpi sono forse l'unica cosa che ci unisce tutti, sono un'ideale che accomuna gli svizzeri tanto i cittadini tanto quelli che abitano nelle valli.
Da figure impervie e splendori naturali a possibili minacce mortali, come si farà nei prossimi anni a visitare o anche solo a viverle? La chiave di volta, secondo l'esperto, sono le mappe delle zone di pericolo che vanno tassativamente aggiornate con un occhio agli insediamenti esistenti: «Ormai la geologia è in grado di prevedere con una certa precisione possibile aree di rischio. In passato è capitato che si costruisse là dove sarebbe stato meglio non farlo. Con un futuro incerto come quello che ci si prospetta, non possiamo correre rischi», conclude.