Stretta sul sesso a pagamento, i clienti sotto pressione

Dalle donne del Centro la richiesta di una regolamentazione più severa del settore. Si valuta pure il lancio di un’iniziativa popolare.
ZURIGO - Quello della prostituzione è un business di enormi proporzioni. Basti pensare che in Svizzera 350'000 uomini consumano sesso a pagamento almeno una volta all’anno: si tratta di un adulto su cinque.
Per soddisfare questa enorme domanda, si stima che fino a 20.000 persone – in gran parte donne – si prostituiscano, secondo quanto riportato dal TagesAnzeiger. Cifre difficili da verificare, poiché, sebbene il mercato del sesso sia legale in Svizzera, resta poco trasparente.
Nella realtà, molte donne lavorano in condizioni precarie, spesso esposte quotidianamente a episodi di violenza, come dimostrano diversi studi sul settore. Il traffico di esseri umani è diffuso, e la criminalità organizzata assicura – spesso con la forza – l’arrivo di giovani donne da paesi lontani.
Nonostante le sue dimensioni e gli abusi documentati, il settore è rimasto a lungo un tema marginale in ambito politico. Ora, però, il partito Il Centro sta facendo pressione per migliorare la protezione delle donne e per promuovere comportamenti più responsabili da parte di clienti e gestori di locali a luci rosse.
La sezione femminile del partito ha appena approvato un documento in tal senso e sta valutando diverse iniziative, tra cui il lancio di un’iniziativa popolare per una legge nazionale sulla prostituzione.
«Poche persone si prostituiscono volontariamente», afferma Christina Bachmann-Roth, presidente delle donne del Centro. La maggior parte è vittima di povertà, coercizione, violenza o persino tratta. «Vogliamo impegnarci per loro», aggiunge Bachmann-Roth che, con le sue colleghe, punta a una riforma nazionale per controllare e limitare più rigidamente il mercato del sesso.
Attualmente, la prostituzione è regolata principalmente a livello cantonale. A livello federale, sono punibili solo la tratta di esseri umani, lo sfruttamento e i rapporti sessuali a pagamento con minorenni. Eventuali inasprimenti penali nei confronti dei clienti dovrebbero essere inseriti nella legislazione nazionale.
Cosa si propone per clienti e locali - Secondo le donne del Centro, i clienti dovrebbero essere obbligati, sotto pena di sanzione, a verificare l’età, le condizioni lavorative e i permessi di soggiorno e di lavoro delle donne. In presenza di sospetti di tratta o coercizione, sarebbero tenuti a informare proattivamente la polizia. Inoltre, dovrebbero essere puniti se acquistano prestazioni sessuali al di fuori delle zone regolamentate.
I bordelli, da parte loro, dovrebbero essere sottoposti a controlli più rigorosi. Il documento propone anche l’obbligo del preservativo e corsi di formazione obbligatori per i clienti che non rispettano le regole.
Cosa invece per chi lavora - Parallelamente, le lavoratrici del sesso dovrebbero avere un accesso facilitato a cure sanitarie e alla previdenza sociale, mentre chi desidera lasciare il settore dovrebbe essere sostenuto attraverso programmi finanziati dallo Stato. Si prevede anche un rafforzamento della prevenzione sui rischi legati alla prostituzione.
Il documento, frutto di un ampio confronto, è stato approvato a metà maggio, ma il dibattito interno al partito è solo all’inizio.
Le misure proposte ricordano il modello nordico introdotto in Svezia 26 anni fa, che prevede programmi di uscita dalla prostituzione e attività di prevenzione e sensibilizzazione. Con una differenza sostanziale: in Svezia l’acquisto di servizi sessuali è completamente vietato. Anche Norvegia, Canada e Francia hanno adottato questo divieto.
Due correnti femministe - «Siamo più avanti che mai nel dibattito – negli ultimi tre anni è cambiato molto», dichiara Olivia Frei, direttrice del Centro femminile di Zurigo e fondatrice del gruppo Pro Reform, che chiede il divieto dell’acquisto di sesso.
Tuttavia, questo nuovo slancio ha suscitato reazioni contrarie. Organizzazioni come Procore, il Sex Workers Collective e il FIZ (Servizio specializzato in materia di tratta e migrazione delle donne) hanno protestato contro un evento organizzato dal Centro femminile, durante il quale un poliziotto svedese ha presentato il modello nordico.
Per Lelia Hunziker, direttrice del FIZ e consigliera cantonale PS in Argovia, «solo un approccio pragmatico e liberale protegge chi lavora nel sesso, rafforza i suoi diritti e consente di esigere condizioni lavorative dignitose». «Le professioniste vogliono che si parli con loro, non di loro».
Rebecca Angelini, rappresentante della Coalizione per i diritti dei/lle sex worker e direttrice di Procore (la federazione dei centri di consulenza), afferma: «Nessuna sex worker che conosciamo è favorevole a un divieto – anche se vive una situazione difficile». La coalizione, composta da lavoratrici del sesso e ONG, osserva che nei paesi dove vige un divieto, le persone più vulnerabili continuano a operare nell’ombra, esposte a violenze, rischi sanitari e abusi di potere.
Questa posizione è sostenuta anche da una recente risoluzione del PS: «Il lavoro sessuale è uno dei tanti modi per guadagnarsi da vivere», afferma il testo. «Per alcune persone è la migliore o l’unica opzione. Garantisce libertà di scelta e autodeterminazione», aggiunge Hunziker. Un divieto peggiorerebbe le condizioni di lavoro. «Non servono nuove leggi repressive, bisogna applicare quelle già esistenti e garantire le risorse necessarie».
Secondo il consigliere federale Beat Jans (PS), l’efficacia di un divieto è controversa. Ritiene quindi valide le misure attuali, come la prevenzione, finanziata dalla Confederazione con 200'000 franchi l’anno.