Il rider bionico: «C'è tanta curiosità»


Matteo Conconi, attivo nel Downhill, è "rinato" dopo un gravissimo incidente nel 2013: «Non voglio essere un esempio di vita, ma al massimo dare un segnale nello Sport»
«Ti vedi al cancelletto di partenza e sei l'unico con una protesi. A volte c'è ansia e so che devo portar giù la pelle, ma lo faccio per tutte le persone con delle diversità».
Matteo Conconi, attivo nel Downhill, è "rinato" dopo un gravissimo incidente nel 2013: «Non voglio essere un esempio di vita, ma al massimo dare un segnale nello Sport»
«Ti vedi al cancelletto di partenza e sei l'unico con una protesi. A volte c'è ansia e so che devo portar giù la pelle, ma lo faccio per tutte le persone con delle diversità».
BALERNA - «Era il 15 novembre 2013 quando la mia vita è cambiata, da quel giorno ho dovuto reimparare a fare quasi tutto da zero», inizia così la storia di Matteo Conconi, folgorato da una scarica da 15'000 volt (corrente alternata) mentre si trovava al lavoro e voleva procedere al cambio di un isolatore. Ha perso un braccio («internamente bruci, quindi è stato deciso di amputarlo per evitare la necrosi») e dopo mesi di cure intese è gradualmente rinato: «Sono ripartito grazie alla forza mentale: quella vera sta lì».
I medici gli hanno salvato la vita, poi “Teo” è tornato a vivere e ora lo fa al 110%.
«All'inizio ho dovuto dosare bene i pensieri, tra aspetti negativi e momenti di tristezza. Ora le cose sono completamente cambiate. Io stesso sono cambiato. Do meno peso ai piccoli fastidi e alle "sciocchezze" della vita quotidiana. È cominciata quella che chiamo la mia vita 2.0 e ora sono in pace con me stesso. So che ho un solo braccio e devo vivere con una protesi».
Oggi il 34enne ticinese lavora ancora per le FFS e conduce una vita normale.
«Mi occupo di pianificazione del personale e sicurezza in cantiere. È un ambito a cui ovviamente tengo particolarmente. E poi mi fa bene “girare” e uscire un po’ anche dall’ufficio, perché sono un tipo molto rumoroso e lo sanno anche i colleghi… (ride, ndr)».
Insomma porti buon umore, ma quando c’è da lottare non ti tiri indietro. Come nello sport, e noi siamo qui per parlare di questo.
«Da ragazzo ho provato un po’ di tutto, ma la Mountain Bike è arrivata dopo l’incidente in maniera un po’ naturale. Avevo lasciato la moto, mia altra passione, e pativo la mancanza delle due ruote. Volevo provare ancora l'emozione dell'equilibrio».
E così è arrivato il Downhill.
«Mi ci sono avvicinato a partire dal 2019 e un passo alla volta mi sono fatto un piccolo nome nell’ambiente. Sono rispettato per quello che sono. Ora partecipo a più eventi tra Svizzera e Italia - come la ION Cup - e mi arrabbio con me stesso quando affronto male un tracciato. La MTB è uno sport che mi fa sentire normale. Sono entrato “duro” in questo mondo e non volevo essere elogiato o compatito, ma pesato per i risultati in gara. Penso che mi rispettino proprio per questo».

Ti senti un esempio almeno a livello di forza d’animo?
«In realtà non voglio essere un esempio di vita o altro, ma al massimo dare un segnale nel Downhill. Questo sì, perché lì so di poter trasmettere qualcosa. Volevo farlo diventare il mio sport e ce l’ho fatta, competendo con persone normodotate. Di questo mi devo dare credito. Ho dovuto lottare per farlo e non nego che ci siano state delle difficoltà. Protesi da adattare e “inventare”, modifiche, cadute anche rovinose: è stato un cammino lungo, ma sono arrivato. Non voglio essere banale, ma come messaggio vorrei dire a tutti di non mollare mai. All'inizio facevo fatica a stare in equilibrio sulla bici, ora faccio anche delle gare».
Quali sono i risultati di cui vai più orgoglioso?
«Nella mia categoria ci sono dei giovani che spingono forte e un po’ ne risento… (ride, ndr). Però nel complesso sono contento. Sfido in primis me stesso. Sono un uomo da metà classifica. So che non arriverò mai davanti, ma nemmeno ultimo. Aver partecipato anche a una tappa Swiss Enduro Series, campionato di altissimo livello che vede al via anche professionisti, mi rende super orgoglioso».
Cosa provi quando affronti una gara?
«All'inizio c’erano ansia e tensione. Ti vedi al cancelletto di partenza e sei l’unico con una protesi. Si tratta comunque di una disciplina che comporta dei rischi. C’è la mente da controllare. So che devo finire la prova e portar giù la pelle, ma lo faccio anche per tutte le persone con delle diversità. Voglio dimostrare che posso essere competitivo anche contro i normodotati, dimostrare che abbiamo del potenziale».

La preparazione non è scontata.
«Ci sono aspetti che non si immaginano. In base al clima, pioggia o sole, devo “settare” la protesi collegata alla bici. Deve darmi piena fiducia. Diciamo un po’ come nella MotoGP; se piove devo regolare la molla su “impostazioni” da bagnato. Parlo a livello di rigidità. Per questo diventano fondamentali le prove libere. Se sbaglio qualcosa getto al vento il weekend».
Gli aneddoti non mancano.
«La prima volta che mi sono presentato a una gara pensavano che fossi lì per vedere gli altri. Non credevano che volessi iscrivermi per davvero. Poi hanno visto la mia convinzione e mi hanno dato il numero per correre che ho appeso sul mezzo. Ridevo perché sono rimasti un po’ tutti a bocca aperta. Anche oggi c'è tanta curiosità. Al traguardo magari mi fermano per complimentarsi e farmi delle domande. Anche delle foto insieme, soprattutto bambini. Non è qualcosa che mi dà fastidio, ne vado fiero».
In questi anni non sono mancati aiuti preziosi.
«A partire da ortopedici e fisioterapisti che mi aiutato sempre a livello fisico. Ancora oggi soffro di mal di schiena dovuto allo scompenso di peso. Poi c’è chi ha reso possibile la creazione delle protesi come O-Tech Ticino e Morello Besomi. La mia famiglia e la mia ragazza invece mi hanno sempre dato una grande carica. Anche grazie alla loro spinta ho trovato degli sponsor e ora corro per “Togheter We Ride”, azienda no profit di Roma che fa protesi in 3D per tutti i ragazzi con diversità e che vogliono praticare sport».
Nella vita 2.0 di Matteo Conconi quali sono i sogni nel cassetto e i progetti futuri?
«Un domani avere una bella famiglia. Un altro sarebbe quello di vincere una gara di Downhill, ma la vedo più difficile… (ride, ndr). Ora come progetti è in uscita un libro scritto insieme a Teresa Chiriacò. Si intitola “Bionic Rider, oltre ogni ostacolo”. Racconta il mio percorso da quando ho iniziato a praticare la MTB. Contiene foto, si illustrano le innovazioni, ci sono interviste a meccanici e addetti ai lavori. Insomma si parla del cammino per arrivare a correre contro i normodotati».




