Caso Almasri: «La Libia fece pressioni per liberare il generale»

Per la prima volta i documenti raccolti nell'inchiesta svelano un retroscena finora negato dal governo italiano.
ROMA - Ci sarebbero state pressioni libiche per ottenere la liberazione del comandante della polizia giudiziaria libica Najeem Osamadi Almasri, rimpatriato dall'Italia in Libia con un volo di Stato (un Falcon dei Servizi segreti) il 21 gennaio scorso.
Come riportano alcuni quotidiani, lo stesso giorno una lettera è stata inviata dall'ambasciatore libico in Italia, Muhannad S. A. Younes al ministro degli esteri Antonio Tajani, in cui si solleva una questione "urgente" fin dall'intestazione della missiva.
Al di là del tono cerimonioso il messaggio appare ultimativo: "Ho il piacere di allegare alla presente la lettera pervenuta dall'ufficio del Procuratore generale presso la Corte d'appello di Roma, Repubblica italiana, relativa alla richiesta di 'estradizione di un cittadino libico'".
Non si fa il nome ma è chiaro che si tratti del protagonista del mandato della Corte penale internazionale, ricercato per crimini contro l'umanità e arrestato a Torino. La richiesta di "collaborazione" dell'Italia richiede rapide decisioni.
Per la prima volta i documenti raccolti nell'inchiesta che vede i vertici del governo - la premier Giorgia Meloni, il ministero della giustizia Carlo Nordio, il collega degli interni Matteo Piantedosi e il sottosegretario Alfredo Mantovano, iscritti per favoreggiamento e peculato - svelano un retroscena finora negato: le pressioni libiche per ottenere la liberazione di Almasri.