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LUGANO

«Vi spiego perché l'ideologia woke, in realtà, è di destra»

La filosofa americana Susan Neiman, ospite a Festival Endorfine, evidenzia le incongruenze tra i valori del movimento e le sue ambizioni progressiste.
2020 Getty Images
«Vi spiego perché l'ideologia woke, in realtà, è di destra»
La filosofa americana Susan Neiman, ospite a Festival Endorfine, evidenzia le incongruenze tra i valori del movimento e le sue ambizioni progressiste.

LUGANO - L’ideologia woke non è di sinistra, e neppure di estrema sinistra come qualcuno vorrebbe, ma condivide valori e principi che appartengono storicamente alla destra, anche quella più radicale. È uno dei campanelli d'allarme (espresso fin dal titolo) del libro "La sinistra non è woke. Un antimanifesto" della filosofa Susan Neiman, ospite questa sera alle 21 al Lugano International Festival Endorfine.

La filosofa americana, però, si spinge oltre: sostiene infatti che la vittoria di Trump alle ultime elezioni presidenziali sia stata favorita proprio dal movimento culturale americano. Insomma, secondo Neiman, abbiamo sbagliato tutto. E se non “tutto”, poco ci manca.

Ms. Neiman, partiamo dal titolo: se la cultura woke non è di sinistra, perché viene percepita progressista e come spiega questa confusione?
«Vero, siamo molto confusi. E le dico il motivo: il movimento woke si ispira a emozioni e concetti tradizionalmente appartenenti alla sinistra, come il desiderio di schierarsi dalla parte degli oppressi oppure la volontà di aiutare le persone marginalizzate. Quello che i woke però non capiscono è che promuovono tante altre idee che non sono affatto di sinistra. Principi che si avvicinano molto più a filosofi come Carl Schmitt (tra i pensatori delle ideologie del nazismo ndr.)».

Quali?
«In primo luogo il tribalismo. Non condivido la terminologia “politica identitaria” in quanto rifiuto di pensare che la nostra identità si possa rinchiudere in sole due categorie. Mi spiego meglio: credere che l’identità più importante, quella che determina la persona, sia il gruppo etnico o il genere, è una concezione fascista. Per la destra esistono solo connessioni vere con chi appartiene alla propria tribù, contraddistinta, per esempio, proprio da etnia o genere. Di conseguenza, abbiamo obblighi soltanto nei loro confronti. In secondo luogo, la destra e i woke aderiscono all'idea che non ci sia distinzione tra giustizia e potere. Le richieste di giustizia sono solo una copertura: tutto ruota attorno al potere. Infine, condividono anche lo scetticismo verso qualsiasi idea di progresso».

Chi appartiene al movimento woke non riesce a riconoscere l'incongruenza tra questi valori (più vicini alla destra) e le proprie aspirazioni?
«Le loro intenzioni non sono cattive, anzi, penso siano in parte corrette. Eppure sono intellettualmente confusi. Ho scritto questo libro proprio per cercare di dissipare queste contraddizioni. La materia però è delicata. Da più parti mi è stato consigliato di abbandonare questo progetto oppure di cambiare almeno il titolo. Mi hanno detto: “Trova una persona di colore per la prefazione”. Tante persone, me compresa, però, non si rivedono più nelle richieste della sinistra. Non si riconoscono negli sviluppi dell'ideologia woke».

Il libro, infatti, vuole identificare le problematiche e le mancanze della sinistra; insomma, non è un libro sul movimento woke. Cosa deve fare la sinistra?
«Ci sono tre valori che la sinistra deve ritrovare e che il movimento woke rifiuta. L’universalismo, la divisione tra potere e giustizia e l’idea di un progresso possibile. Questi principi dovrebbero essere la base della sinistra, ma sono condivisi anche dai liberali. Ora è necessario un fronte unito tra queste due forze sulla base proprio di questi tre valori. Questo perché le destre avanzano e, in più parti del mondo, emergono varie forme di fascismo, sdoganate e legittimate da Trump. Quello che succede negli Stati Uniti è una follia».

In che modo l'estrema destra ha potuto beneficiare dell'evoluzione del movimento woke? E come queste ideologie sono state strumentalizzate da Trump?
«È stato un colpo di genio. Ha percepito che c’era molta insoddisfazione verso il movimento woke. Un'insoddisfazione non solo proveniente dalla destra, ma anche da tutta la società. È riuscito a cavalcare l’onda. Quello che trovo disgustoso però è stata la sua finta preoccupazione per l’antisemitismo, usata per distruggere le università e per attaccare le persone di colore e chi difendeva i diritti dei palestinesi».

«Io sostengo Black Lives Matter perché uccidere gente inerme è un crimine contro l’umanità». È un passaggio centrale nel libro. Perché le minoranze non possono prescindere dalla solidarietà di tutta la società?
«Quello che è successo al movimento Black Lives Matter è molto rappresentativo. Si trattava di un movimento di protesta ampio e universale. Oltre il 50% delle persone che vi hanno aderito erano bianche. Le proteste inoltre erano scoppiate in piena pandemia, nel giugno 2020, uscire in strada non era solo un gesto simbolico, ma un’azione concreta. Si è sviluppata una solidarietà genuina di tutta la società. Ma l’abbiamo dimenticato».

Che cos'è successo in seguito?
«Chi ha preso in mano le proteste, però, ha iniziato a definire i bianchi “alleati”. Un alleato non condivide un principio, ma un interesse: non può esserci solidarietà. Dividere i membri di un movimento in alleati indebolisce le basi della solidarietà. Questo passaggio è cruciale. Il problema delle uccisioni delle persone nere da parte della polizia è un problema che coinvolge tutta la società, non solo una parte. Le differenze culturali sono meravigliose e dovrebbero essere celebrate. Ma non significa che solo un irlandese possa cantare una musica irlandese».

Il movimento woke ha varcato i confini americani ed è giunto anche in Europa e, in particolar modo, ha trovato terreno fertile nelle università francesi. Lei ha studiato questo movimento nelle sue ramificazioni più ampie, quali sono, sempre che ce ne siano, le differenze a seconda del contesto geografico?
«Nulla mi ha sorpreso di più del fatto che il libro sia stato pubblicato in oltre 40 lingue diverse. L'America Latina, in particolar modo, è il continente in cui si è venduto di più. In Europa ci sono alcune lievi differenze rispetto al movimento negli Usa. Eppure si tratta solo di dettagli. Quello che ho osservato è che spesso i discorsi sono molto simili, come in Germania, o addirittura identici nel Regno Unito. Questo perché lo smarrimento della sinistra dopo il 1991 è universale, non riguarda solo gli Stati Uniti».

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