Uscire dal giro? «No, è un lavoro come gli altri»

I programmi sociali che accompagnano le lavoratrici del sesso all'uscita del settore non convincono tutti. Vincenza Guarnaccia: «Non sono escluse dalla società».
LUGANO - «Aiutiamo le lavoratrici del sesso a uscire dal giro della prostituzione». Alla base del pensiero di Armée du Salut, sicuramente troviamo tanta buona volontà. Eppure, la prospettiva adottata dal movimento internazionale nasconde alcuni pregiudizi che non andrebbero trascurati.
L'Armée du Salut gestisce, dal 2018, il programma Rehab che si occupa di accompagnare, in particolar modo nel canton Berna, le lavoratrici del sesso nell’uscita del settore. Un programma che, da pochi mesi, dispone anche di fondi cantonali.
Ed è proprio questa “uscita dal giro” che non va tanto giù a Vincenza Guarnaccia, operatrice di Zona Protetta, che ha voluto mettere alcuni puntini sulle “i”. «L'idea di un programma di uscita dal lavoro sessuale in qualche modo rimanda al fatto che non sia un lavoro eticamente corretto. Viene inoltre messo l'accento sull'integrazione sociale sottintendendo che le lavoratrici del sesso non siano integrate nella società».
Guarnaccia preferisce affrontare la questione sotto un punto di vista differente. «Noi parliamo di riorientamento professionale. Sono diverse le ragioni che possono spingere una lavoratrice del sesso ad affidarsi a un’associazione per il riorientamento. Noi cerchiamo di far emergere quelle che sono le competenze e le risorse per accompagnare le nostre assistite in questo percorso».
A una lettura superficiale, il risultato potrebbe sembrare lo stesso, eppure ci sono differenze sostanziali. ProCoRe, la rete nazionale delle varie associazioni che si occupano delle persone che svolgono il lavoro sessuale, vuole sottolineare l’importanza dei programmi di riorientamento, «mentre ci opponiamo ai piani di integrazione sociale».
«L’idea – continua Guarnaccia – di destinare fondi a programmi per il reinserimento sociale di chi svolge questo mestiere rivela una certa visione di fondo: come se fare questo lavoro significasse automaticamente essere ai margini della società. Ma non è così».
In Ticino, malgrado l’aiuto offerto da Zona Protetta, non esistono programmi specifici nel riorientamento professionale. «Durante la pandemia Covid abbiamo elaborato un progetto rivolto alle persone che volevano rafforzare le proprie competenze per riorientare la propria carriera professionale».
Come? «Ci siamo confrontati con persone che avevano una certa età, 50-55 anni, per offrire la possibilità di migliorare le proprie competenze per svolgere poi un altro lavoro». Sono stati offerti corsi di italiano per perfezionare la lingua, oppure sono stati organizzati degli incontri per migliorare e professionalizzare il CV».
Nel corso di un anno, una ventina di persone ha aderito al progetto. «Alcune di loro hanno completato con successo una nuova formazione. Due hanno ottenuto il diploma di assistente di cura presso la Croce Rossa, mentre un’altra ha portato a termine un percorso interrotto anni prima, sempre nell’ambito sanitario».
Dopo la crisi, però, il progetto è stato interrotto. «Purtroppo non abbiamo i finanziamenti per continuare. Il programma specifico non c’è più, ma da allora abbiamo mantenuto la disponibilità ad aiutare chi desidera trovare un altro lavoro».
Nel concreto, si tratta di molti piccoli passi. «Riconosciamo il lavoro sessuale come un’attività lavorativa, a condizione che sia svolta liberamente e senza sfruttamento. Non partiamo dall’idea di “far uscire” le lavoratrici da questo mestiere. Se una persona desidera ampliare le proprie competenze in vista di un possibile cambiamento professionale, siamo pronti a sostenerla».