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Uccisero la figlia disabile, il processo choc è tornato in aula

Padre e madre di nuovo alla sbarra per l'appello: in prima istanza furono condannati a otto anni per omicidio.
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Uccisero la figlia disabile, il processo choc è tornato in aula
Padre e madre di nuovo alla sbarra per l'appello: in prima istanza furono condannati a otto anni per omicidio.

È tornato in aula il caso della bambina di tre anni affetta da una grave paralisi cerebrale che era stata uccisa dai genitori nel maggio del 2020 a Hägglingen (AG). La coppia, che nel mese di settembre del 2024 era stata ritenuta colpevole di omicidio intenzionale dal Tribunale distrettuale di Bremgarten, fu condannata a otto anni di carcere.

Una sentenza, questa, contestata sia dai legali degli imputati - una 33enne e un 35enne, entrambi tedeschi - sia dalla procura, con entrambe le parti che decisero di ricorrere. Per i genitori della piccola, infatti, il loro «fu un gesto d'amore» compiuto per aiutare la figlia e «alleviare i dolori sempre più forti» di cui soffriva e non un omicidio intenzionale. Per questo la difesa aveva richiesto una pena massima di tre anni per omicidio colposo.

Il Ministero pubblico, invece, ha sempre sostenuto che i genitori abbiano agito «egoisticamente» rifiutando qualsiasi aiuto e preferendo porre fine alla vita della bambina piuttosto che farla aiutare. Per questo l'accusa aveva richiesto una pena detentiva di 18 anni per assassinio e l'espulsione dalla Svizzera per 15 anni.

Il ritorno in aula - E così - a poco più di nove mesi di distanza da quella sentenza che ha (di fatto) scontentato tutti - questo delicato caso è ritornato sui banchi del Tribunale d'appello del Canton Argovia. «Volevamo solamente aiutare nostra figlia», ha ribadito il padre 35enne. «Non avrebbe mai potuto essere felice e le sue condizioni stavano peggiorando di giorno in giorno. Tanto che il pediatra aveva parlato di "condizioni disperate"».

Il padre: «Volevamo smettesse di soffrire» - Una tesi che però stride - fa notare il giudice - con un SMS inviato dall'uomo il giorno prima del delitto in cui definiva la figlia "attiva e presente". «Quella - si giustifica l'imputato - fu un'istantanea di un momento buono. La notte seguente ha pianto a dirotto e sofferto molto. Per quello decidemmo di agire. Non fu un crimine pianificato, ma una decisione spontanea presa sul momento. Volevamo solamente che smettesse di soffrire». Il giudice ha poi ricordato che già nell'autunno del 2019 ci fu un tentativo di uccidere la bimba con l'ecstasy, domandando il perché. «Stava sempre peggio e aveva sempre più dolore, soprattutto alla colonna vertebrale», ribatte il padre.

La madre: «Lo rifarei» - Dopo il padre, è il turno della madre che a precisa domanda del giudice conferma quanto già detto nel processo di nove mesi fa. «Se lo rifarei? Certo che lo rifarei. Allo stesso identico modo. Non è stato un errore». L'idea di «liberare dal dolore» la figlia è stata presa di comune accordo dai genitori che hanno pure messo al corrente la nonna della decisione. «Era molto spaventata e triste per questo», spiega la 33enne.

La nonna: «È stato un incubo» - La nonna, una 53enne tedesca, era stata assolta in prima istanza, nonostante la procura avesse richiesto una pena di cinque anni per complicità in omicidio. «È un'accusa assurda», precisa la donna. «Quando ho saputo da mia figlia quello che volevano fare sono rimasta sconvolta e ho cercato di impedirlo. Lei però mi aveva promesso che non lo avrebbero fatto. È stato un incubo».

La vicenda - Il dramma inizia con una chiamata ai servizi d'emergenza del Canton Argovia: al telefono due genitori disperati che informano la centrale di aver trovato la figlia di tre anni senza vita nella sua culla. I soccorritori, giunti immediatamente sul posto, non hanno potuto far altro che confermare il decesso della piccola.

Una morte bianca, sul corpo della bimba non vi erano infatti segni esterni che potessero indicare la causa del decesso, che non ha però convinto la Procura che quello stesso giorno ha disposto un'autopsia sul cadavere della piccola. E gli esami, condotti dall'Istituto di medicina legale di Aarau, hanno portato alla luce una verità sconvolgente. Nel sangue della piccola era infatti presente dell'ecstasy che ha provocato una «carenza di ossigeno indotta» al cervello e il conseguente decesso.  

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