Spinge la moglie a terra e la massacra con un ramo: 10 anni di carcere per tentato assassinio

È la pena decisa dal Tribunale distrettuale di Martigny. Al 54enne è stata inoltre appioppata un'espulsione dalla Svizzera della durata di 15 anni.
MARTIGNY (VS) - Un cittadino afghano è stato condannato oggi a dieci anni di reclusione dal Tribunale distrettuale di Martigny (VS) per tentato assassinio. Nel novembre del 2022, l'uomo aveva spinto a terra la moglie, infliggendole poi decine di colpi con un ramo lungo 80 centimetri.
Il tribunale è stato più severo della richiesta della procura, che aveva domandato una pena detentiva di otto anni. Al 54enne è stata inoltre appioppata un'espulsione dalla Svizzera della durata di 15 anni.
Secondo la corte, l'imputato ha picchiato la moglie con l'intenzione di ucciderla, rompendo persino il pezzo di legno sul suo cranio. La donna è stata colpita ripetutamente alla nuca e su tutto il corpo per quasi dieci minuti. Nonostante la vittima fosse immobile, il suo aguzzino non ha smesso di infierire su di lei e solo quando due uomini sono intervenuti l'aggressione è finita.
La donna ha riportato un trauma cranico, una lesione a una vertebra cervicale, fratture dell'orbita oculare e del seno mascellare sinistro. Lunedì, durante l'udienza, l'afghano ha dichiarato di non ricordare l'accaduto. «Mi dispiace con tutto il cuore per quanto è successo. Non è da me picchiare mia moglie», si è giustificato.
La difesa aveva chiesto una condanna non per il reato di tentato assassinio, ma per quello, meno grave, di lesioni semplici. Al momento dei fatti il 54enne era sotto l'effetto dell'alcol e dunque non in pieno possesso delle sue facoltà mentali, ha provato ad argomentare il suo avvocato.
Il procuratore ha tuttavia ricordato che la vittima aveva sporto denuncia contro l'imputato due mesi prima, per precedenti atti di violenza, ma che nove giorni dopo l'aveva ritirata su pressione dei figli (la coppia ne ha cinque). L'uomo aveva tra l'altro lo status di rifugiato politico in Svizzera: in patria aveva infatti lavorato per la protezione dei dipendenti dell'ambasciata elvetica. «Se torno nel mio Paese, rischio la vita a causa dei talebani», ha evidenziato in aula il diretto interessato.