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ZURIGO

Minori transgender: «Sono chiusi in una "bolla"»

Vietare gli interventi di riassegnazione di genere sui minori? La proposta del Dipartimento della sanità di Zurigo ha acceso il dibattito.
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Fonte NZZ
Minori transgender: «Sono chiusi in una "bolla"»
Vietare gli interventi di riassegnazione di genere sui minori? La proposta del Dipartimento della sanità di Zurigo ha acceso il dibattito.

ZURIGO - Tutelare i giovani oppure reprimere l’orientamento sessuale? Il dibattito a Zurigo sulle operazioni transgender sui minori è scoppiato dopo la richiesta, inoltrata a Berna da parte della direttrice del Dipartimento della sanità Natalie Rickli (Udc), di valutare un divieto di procedure irreversibili per chi non ha ancora compiuto 18 anni.

La proposta - «I minorenni che durante l’adolescenza stanno ancora sviluppando la propria identità di genere dovrebbero essere protetti da interventi di cui potrebbero poi pentirsi», aveva sottolineato la Consigliera di Stato Natalie Rickli durante la presentazione di uno studio. 

Solo al compimento dei 18 anni si può votare, sposarsi, firmare un contratto di affitto o decidere il proprio luogo di residenza e altri aspetti della vita, ha affermato Rickli. «Pertanto, anche le decisioni più radicali in materia di riassegnazione di genere dovrebbero essere possibili solo al raggiungimento della maggiore età».

La palla ora a Berna - Un Cantone però non è autorizzato a emanare autonomamente un divieto di intervento chirurgico per la riassegnazione di sesso. Il Dipartimento della Sanità ha invitato quindi la Confederazione a valutare l'emanazione di una norma di legge o a vietare interventi irreversibili per i minorenni. Inoltre, si chiede che venga stabilito a livello federale che la somministrazione di bloccanti della pubertà debba avvenire, in linea di principio, solo nell’ambito di studi scientificamente monitorati.

Critiche e sconcerto - Le reazioni delle organizzazioni transgender non si sono fatte attendere. Venerdì scorso, a Zurigo, una folla si è radunata per protestare contro l’iniziativa del Dipartimento della sanità. 

La rete transgender in Svizzera non è molto estesa: conta poco meno di 400 membri e dispone di un budget annuo di circa 280mila franchi svizzeri.

Non è raro che le persone trans più adulte accompagnino e offrano sostegno a chi sta iniziando il proprio percorso. Nel Cantone di Zurigo, ad esempio, esiste un programma chiamato “Du-bist-Du”. Attraverso un sito web, i giovani che hanno dubbi sulla propria identità di genere possono mettersi in contatto con consulenti coetanei e trans.

Una bolla - C'è chi considera questo servizio un supporto prezioso per giovani in cerca di risposte, a volte in uno stato di forte smarrimento. Altri, invece, criticano le sessioni di consulenza, ritenendole guidate da un'impostazione ideologica. Tra i critici ci sono anche alcuni medici. Uno di loro, che preferisce restare anonimo, ha raccontato alla NZZ che di tanto in tanto si presentano nel suo studio giovani convinti di trovarsi nel corpo sbagliato. Alcuni arrivano proprio dopo aver partecipato a questi consulti e chiedono di essere indirizzati a specialisti consigliati durante gli incontri. «I giovani vengono inseriti in una rete. Restano intrappolati in una bolla», afferma il medico.

Anche Urs Eiholzer, specialista in pediatria e medicina dell’adolescenza a Zurigo, mette in guardia contro le “bolle” sociali in cui rischiano di finire alcuni giovani. «Immaginate una ragazza in pubertà che non si sente a proprio agio nel suo corpo. Va su Instagram, TikTok, entra in gruppi di chat e si ritrova immersa in un certo tipo di contenuti». In questi ambienti, spiega, è facile restare intrappolati e scegliere un presunto trattamento risolutivo.

Troppi pregiudizi - Jann Kraus, della Rete transgender, riconosce che spesso la consulenza viene offerta all’interno della stessa comunità. «Ma questo accade principalmente perché l’offerta da parte dello Stato è insufficiente».

Kraus respinge le critiche secondo cui le sessioni non sarebbero neutrali e porterebbero i giovani a rinchiudersi in una “bolla”. «La consulenza è uno strumento ampiamente riconosciuto nel lavoro con i giovani. Ma quando ad adottarlo è la comunità queer, viene improvvisamente considerata sospetta. Questo atteggiamento è profondamente legato ai pregiudizi».

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