«Lavorare senza i tuoi uomini di fiducia diventa più complicato»


Livio Bordoli sul difficile momento del Lugano: «Lo staff del Crus è stato praticamente raso al suolo, quando dovrebbe essere lui a scegliere i suoi uomini di fiducia»
«L'ACB? La società ascolti Dragan Mihajlovic»
Livio Bordoli sul difficile momento del Lugano: «Lo staff del Crus è stato praticamente raso al suolo, quando dovrebbe essere lui a scegliere i suoi uomini di fiducia»
«L'ACB? La società ascolti Dragan Mihajlovic»
LUGANO - Il calcio ticinese è in crisi. Lugano e Bellinzona sono in una spirale negativa preoccupante e all'orizzonte si fa fatica a vedere qualche raggio di sole. Due situazioni completamente diverse, due contesti impossibili da paragonare, ma come si è arrivati a queste condizioni?
«Se partiamo dal Lugano, mi sembra che negli ultimi mesi la società abbia indebolito la posizione del Crus - ci ha detto Livio Bordoli, colui che ha riportato il FCL nell'élite del calcio elvetico - Sono partiti Nicholas Townsend, Carlos Da Silva, Andrea Aletti e Riccardo Di Benedetto... Ma io mi chiedo, perché? Cos'hanno fatto di così negativo queste persone per meritare, tutte quante, di essere allontanate?».
Il Crus, quindi, è sempre più solo?
«Inutile girarci attorno: nel momento in cui lavori con persone estranee al tuo staff, diventa tutto più complicato. A tal proposito vi porto la mia esperienza... Quando ero andato ad allenare in Svizzera tedesca, senza i miei uomini di fiducia ho avuto le mie difficoltà. Inoltre ho notato che adesso in campo ci sono 10/12 persone attorno al Crus. Ma è un bene? Oltre a dover pensare ai suoi giocatori, Mattia deve gestire anche i collaboratori. A mio avviso c'è tanta confusione...».
Come ti spieghi tale comportamento da parte della società? Stanno costruendo il "loro" Lugano?
«Non ho alcuna idea, ma sicuramente non sono scelte condivise con Croci-Torti. Nessun allenatore manda via un proprio collaboratore. Provate a chiedere all'Antonio Conte di turno come reagirebbe se dovessero esonerare un suo fidato assistente senza il suo consenso. È lui che deve scegliere con chi lavorare e non la società. Purtroppo lo staff del Crus è stato raso al suolo, se si eccettua Cao Ortelli. Così facendo, la fiducia fra lui e i suoi attuali collaboratori non può essere ai livelli di prima. Questo è innegabile...».

Tutti i problemi del Lugano sono figli di queste decisioni?
«Lo ripeto per l'ennesima volta. È soprattutto da quando è andato via Carlos Da Silva che si è rotto qualcosa. Ha svolto un grande lavoro ed è un grande conoscitore di calcio, soprattutto nel panorama elvetico. Sicuramente lui e Mattia formavano un bel binomio: sono due malati di calcio. Secondo me, prima gli acquisti erano fatti in totale sintonia fra lui e l'allenatore, adesso non lo so, ma ho i miei dubbi. Non voglio incolpare Pelzer, anche perché non lo conosco e non so come lavora. Non sarà però un caso se il calo sia cominciato quando è partito Da Silva».
Pensi che le pulizie di cui parlavamo, presto coinvolgeranno anche Mattia Croci-Torti?
«Spero di no. Per tutti gli allenatori ticinesi, il Crus è un motivo di vanto. L'ho sempre detto, noi ci identifichiamo in lui. Anche in Mauro Lustrinelli, sebbene lavori oltre Gottardo. Fa sempre piacere vedere un ticinese ottenere degli ottimi risultati. È un grande peccato che gli vengano tolti i suoi uomini di fiducia».
Varcando il Ceneri, cosa puoi dirci del Bellinzona?
«È sempre molto difficile parlare del Bellinzona. La recente dichiarazione di Mihajlovic "Non siamo una squadra di Challenge League" riassume però tutto. La società dovrebbe ringraziarlo per aver detto questa cosa. Dall'alto della sua esperienza ha capito che questo gruppo non ha il livello per disputare un campionato del genere. Secondo me il club dovrebbe sedersi con Dragan e ascoltare a fondo quello che ha da dire. In questo momento a Bellinzona non c'è nessuno migliore di lui che possa aiutare l'ACB a uscire da questa situazione difficilissima. Non darei nemmeno la colpa agli allenatori e non penso che cambiando ci sarebbe qualche effetto positivo».
Torneresti ad allenare?
«No, ora come ora no, sto bene in Federazione. Magari quando sarò in pensione ci penserò. Fare l'allenatore oggi comporta il fatto che non si ha mai un giorno libero da dedicare a sé stessi e alla famiglia. Fra telefonate, lavoro sul campo, allenamenti e partite, la vita privata ne risente parecchio».








































