I dazi USA mettono a dura prova il coltellino svizzero


Il CEO di Victorinox sulla stretta di Trump al made in Switzerland: «Sfida enorme ma nessuna delocalizzazione, il nostro è un marchio svizzero».
Il CEO di Victorinox sulla stretta di Trump al made in Switzerland: «Sfida enorme ma nessuna delocalizzazione, il nostro è un marchio svizzero».
Dazi e franco forte sul dollaro: è la doppia difficile prova che deve affrontare uno dei prodotti più esclusivi e identificativi della produzione elvetica, il coltellino. Partiamo dalla prima sfida. I dazi doganali statunitensi rappresentano una «sfida enorme» per i produttori di coltellini svizzeri, perché quello americano è un mercato chiave. Lo afferma senza mezzi termini a il Sole 24 Ore il CEO di Victorinox, che ha sede a Ibach (Svitto).
«Delocalizzare la produzione non è un'opzione» - Allora che fare per affrontare i dazi del 39%, applicati ai prodotti elvetici che entrano negli Stati Uniti? Secondo l'ad Carl Elsener, delocalizzare la produzione non è un'opzione, poiché il marchio è «definito dalla sua origine svizzera». Certo è che «a breve termine – rassicura il CEO – la situazione non è ancora critica», visto che al momento si sfruttano le scorte già presenti negli States.
Dunque per l'anno in corso, i costi aggiuntivi sono «gestibili» e il marchio non sarà chiamato ad aumentare i prezzi, almeno «fino alla fine dell’anno». Tuttavia, se i dazi dovessero rimanere in vigore, il produttore prevede «fino a 13 milioni di dollari di costi aggiuntivi all’anno, a partire dal 2026».
Ma non è tutto, dato che, come riporta il quotidiano finanziario, i dazi di Trump «arrivano in un momento in cui la situazione è già tesa», per l'indebolimento del dollaro rispetto al franco: «Una sfida enorme per la nostra competitività».
Le cifre - 417 milioni di franchi svizzeri sono quanto è stato fatturato nel 2024 da Victorinox negli USA, primo mercato di esportazione, che rappresenta il 13% delle vendite totali. Percentuale che sale al 18% se si considerano anche i coltelli professionali e da cucina.
Insomma, la sfida è tutta da giocare, tanto che un team aziendale sta lavorando negli Stati Uniti per negoziare soluzioni, che siano però alternative alla delocalizzazione, certo.