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GUERRA COMMERCIALE

Dazi, dopo la "sberla" non resta che negoziare

Nonostante la stangata, a Berna restano ottimisti per una soluzione. E anche la Camera di Commercio Svizzera-USA è convinta che «questa non è la fine» delle trattative. Nel frattempo, però, inizia a tremare anche il settore farmaceutico
AFP / 20 Minuten
Dazi, dopo la "sberla" non resta che negoziare
Nonostante la stangata, a Berna restano ottimisti per una soluzione. E anche la Camera di Commercio Svizzera-USA è convinta che «questa non è la fine» delle trattative. Nel frattempo, però, inizia a tremare anche il settore farmaceutico

BERNA / WASHINGTON - Berna ci proverà ancora, nei prossimi giorni, a ricucire le trattative con Washington. La partita sui dazi, insomma, non è ancora chiusa. E non può esserlo. Perché la stangata con cui Donald Trump ha randellato (in prospettiva) l'economia elvetica, regalando un Primo d'agosto insolitamente amaro, è di quelle che han lasciato tutti spiazzati; da chi per mesi ha negoziato, a chi si diceva convinto che l'elezione bis del tycoon sarebbe stata una fortuna anche per la Svizzera.

Quel 39%, partorito arbitrariamente tra le pareti dello Studio Ovale - e più, perlomeno secondo quanto trapelato dai domenicali d'oltralpe, per acredine personale che non in ossequio a particolari calcoli macroeconomici, al termine di una tesissima telefonata, a tempo quasi scaduto, tra la presidente della Confederazione Karin Keller-Sutter e il suo omologo statunitense -, impatterà per circa lo 0.6% sul prodotto interno lordo elvetico. E, lo ricordiamo, i dazi in questione ancora non toccano il settore farmaceutico, che però sente sul collo il fiato, insistente, dell'Amministrazione Trump (che non vede amici, alleati o nemici; ma solo concorrenti).

Anche le farmaceutiche tremano. Sarà fuga?
A tal proposito, apriamo una breve parentesi. Interpharma - l'associazione delle industrie farmaceutiche svizzere - ha già lanciato venerdì il suo allarme. «Anche se i prodotti farmaceutici sono per ora esentati, la decisione» di Washington «mette in pericolo l'approvvigionamento mondiale di medicamenti all'avanguardia». E, neanche a dirlo, mette in pericolo l'attrattiva della piazza elvetica per le tante imprese che qui operano. Il presidente statunitense, il 31 luglio, ha concesso alle farmaceutiche 60 giorni di tempo per abbassare i prezzi dei loro prodotti in vendita negli States; il tutto con la proverbiale "spada di Damocle" - tradotto: la minaccia di dazi al 200%, evocata agli inizi del mese scorso - che pende sulla testa. In altre parole: la paura di una fuga c'è ed è seria.

Una telefonata tesa
Tornando allo "scontro" telefonico, le ricostruzioni parlano di una richiesta di «concessioni significative» in materia di barriere commerciali a cui la "ministra" delle finanze avrebbe risposto picche, innescando così la rappresaglia di Trump verso quel «Paese molto ricco» verso cui gli Stati Uniti hanno un «enorme» - e altrettanto presunto - deficit commerciale di 40 miliardi di dollari. Questo secondo Bloomberg, mentre dalle colonne del SonntagsBlick si legge di una trattativa per una convenzione doganale fissata al 10%. Troppo bassa rispetto alle pretese del tycoon che, nonostante la mezzora abbondante trascorsa al telefono, non ha fatto passi indietro. E così, quelle tariffe che preventivamente erano state fissate al 31%, sono schizzate addirittura al 39%.

E ora?
Berna, come detto, si rifarà avanti nei prossimi giorni. Per, come ha dichiarato ai microfoni di RTS il consigliere federale Guy Parmelin, «individuare ciò che è mancato» nel corso delle lunghe negoziazioni. Il direttore del Dipartimento federale dell'economia, della formazione e della ricerca (DEFR) - al pari di altri suoi colleghi sotto il "Cupolone" di Palazzo federale - si è detto fiducioso verso un esito positivo. E a condividere ora - almeno marginalmente - lo stesso ottimismo è anche Rahul Sahgal, il capo della Camera di Commercio Svizzera-USA.

Interpellato da CNBC, Sahgal ha espresso «grande delusione» per le tariffe fissate da Trump, ma ha altresì sottolineato di «non credere che questa sia la fine». Perché, «abbiamo ancora, prima di tutto, i giorni che mancano al 7 agosto. E poi, come si legge nell'ordine esecutivo, c'è una finestra aperta che, mettiamola così, ci dice che se tratti con gli Stati Uniti quei dazi aggiuntivi potrebbero non essere applicati». Ergo: non resta che mettersi il ghiaccio sulla guancia, tornare al tavolo e negoziare.

Nel frattempo, nonostante la pausa estiva, anche la politica ha iniziato a emettere qualche brontolio. E non solamente a favore di like, sui social. È il caso del consigliere nazionale zurighese Hans-Peter Portmann (PLR) che, sullo sfondo della "guerra commerciale", ha presentato una mozione alla Commissione affari esteri della Camera del popolo che chiede una "revisione" in merito all'acquisto, tanto discusso, dei jet F-35, "inciampato" di recente anche nel caso delle divergenze sul prezzo che hanno nuovamente alimentato la scintilla delle polemiche.

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