«Con i dazi, gli Usa si sono messi contro tutti»


Edoardo Beretta (Usi) scettico sulle scelte protezionistiche di Trump: «Così si semplifica un tema ben più complesso»
Edoardo Beretta (Usi) scettico sulle scelte protezionistiche di Trump: «Così si semplifica un tema ben più complesso»
LUGANO - «L'export svizzero con destinazione negli USA entra ora in una fase di incertezza ulteriore rispetto a quella regolarmente vissuta con l'Eurozona per le note dinamiche di cambio franco-euro, anche se l'auspicio è che, trattandosi di prodotti ad elevato valore aggiunto (ad es. di natura farmaceutica o minerale – i primi sono stati finora esclusi da tali dazi insieme all’oro – o manifatturiera di alto segmento come l’industria meccanica e l’orologeria, i prodotti alimentari quali fra gli altri formaggio e cioccolato oltre che agricoli e chimici), il contraccolpo sia meno significativo del previsto».
Con queste parole Edoardo Beretta, Professore titolare di macroeconomia internazionale presso l’USI analizza il delicato momento per l'export svizzero, duramente colpito dall'America Great Again di Trump, con i prodotti rossocrociati con destino USA che vengono rincarati da una tassa all'import del 31%.
Professore, come intervenire adesso in un mercato che - quello dei nostri beni venduti oltreoceano - nel 2024 ha aggiunto i 52,6 miliardi di franchi e che rappresenta il principale sbocco delle nostre esportazioni?
«Certamente rendere il prodotto svizzero quanto più "essenziale" oppure "di reputazione" per una quota di consumatori e aziende esteri rappresenta da sempre una valida strategia per ridurre le esternalità negative di decisioni commerciali del resto del mondo. Ci si può, inoltre, attendere che tali politiche commerciali dispiegheranno il loro effetto in parte nel tempo e non necessariamente immediatamente: le aziende esportatrici svizzere dovrebbero quindi quanto mai "intavolare" un confronto ancora più assiduo con la Confederazione per monitorarne l'impatto e valutare come e se correggerlo».
La Svizzera ha importato beni per un valore di 29,7 miliardi di franchi e ne ha esportati per 56,6 miliardi di franchi (dati 2023), la bilancia commerciale sfavorevole a Washington ha pesato nella decisione di "punire" la Confederazione.
«Ritengo che negli USA si stia "sovrasemplificando" un tema ben più complesso. Per prima cosa, l'import americano è il risultato delle libere decisioni di imprese ed economie domestiche locali. Quindi, i dazi andranno a danneggiare in primis proprio tali soggetti economici americani che potranno acquistare beni/servizi esteri a prezzi più elevati oppure dovranno ridurre la diversità di prodotti a cui accedere. Secondo aspetto: tale "localismo" potrà magari ridurre lo squilibrio di bilancia commerciale americana (che ha raggiunto nel 2023 un disavanzo di 784,89 mld.$, dopo il record negativo di 944,77 mld.$ nel 2022) ma siamo sicuri che il settore produttivo interno riuscirà con rapidità a produrre a sufficienza quei beni e servizi non più importati dal resto del mondo?»
Difficile dunque ipotizzare che gli annunci di Trump si traducano in effetti immediati.
«Il disavanzo commerciale americano ha radici che affondano nel ruolo del dollaro dal Secondo Dopoguerra in poi, quando è divenuto principale moneta a riserva internazionale, cioè accettata negli scambi commerciali/finanziari esteri. Da un lato questo ha fatto sì che gli USA convertissero il proprio sistema economico in modo tale da importare dal resto del mondo, fornendo in cambio liquidità internazionale, cioè dollari. Dall'altro, ha pur sempre permesso agli USA di pagare gli acquisti esteri in moneta nazionale, privilegio non indifferente nel mercato globale. Ipotizzare che il disavanzo commerciale, che gli USA accumulano in misura crescente dai primissimi anni '70, sia in parte risolvibile con dazi è, secondo me, poco plausibile. Più probabilmente, i dazi verranno utilizzati come "strumento di contrattazione" nella politica internazionale».
Sergio Marchionne, quando affrontò il tema delle tariffe nel primo mandato di Trump, disse che capiva il Presidente nel voler ripianare questo squilibrio.
«Rispetto al primo mandato ritengo che il Presidente Trump sia consapevole di dover agire con maggiore rapidità, prima che si cristallizzino i primi possibili candidati alle elezioni presidenziali nel 2028 che assorbano visibilità e interesse mediatici. Dunque, il primo mandato non è necessariamente un buon indicatore di come prenderà forma il secondo. Nel pomeriggio di giovedì, sappiamo che il Consiglio federale ha rilasciato una sua presa di posizione dopo la decisione statunitense».
Quindi, è opportuno attendere.
«Sì, anche alla luce del fatto che dopo la decisione del 2 aprile 2025 tutti i partner commerciali degli Stati Uniti d'America siano ormai coinvolti da un dazio aggiuntivo "ad valorem" del 10% e che siano ben 83 (includendo le 27 Nazioni aderenti all'Unione Europea) quelli soggetti ad aliquota maggiore. La Svizzera con il 31% si situa certamente nella fascia medio-alta a livello di tali nuovi dazi (che variano dal 11% al 50%) e dovrà quindi valutare particolarmente attentamente l'impatto sulla sua economia».
Berna da gennaio 2024 ha deciso di eliminare i dazi sulle importazioni di prodotti industriali, da dove deve partire per una negoziazione? Forse dal peso di essere sesto investitore straniero nel Paese a stelle e strisce, cosa che genera quasi mezzo milione di posti di lavoro qualificato?
«Senz'altro: la Svizzera deve far leva sulla potenziale strategicità del suo export negli USA, ma anche sull'importanza di buoni rapporti commerciali con un Paese europeo dall'economia solida e di alta reputazione. Però senza considerarsi in una situazione di eccessiva "debolezza" - lo stesso dicasi per altri Paesi europei - perché sono gli USA ad essersi ora messi, commercialmente parlando, un po' "contro tutti". Dubito che tali dazi possano andare strutturalmente a loro vantaggio, nonostante gli USA siano un Paese grande e che in certe situazioni possano influenzare la cosiddetta "ragione di scambio internazionale».
In una recente intervista a Tio, il direttore della Camera di Commercio Ticinese non ha escluso che si possa tornare a negoziare un Accordo di libero scambio.
«Laddove a livello globale non si riuscisse a ristabilire con una certa rapidità e stabilità, un sano multilateralismo può essere senz'altro una strada da prendere in seria considerazione in un'ottica di difesa del settore industriale e dell'export svizzero».
La storia ci ha insegnato che politiche protezionistiche possono poi degenerare in scontri veri e propri, che mondo è quello dei dazi?
«Ritengo che sia un mondo sempre più frammentato da un punto di vista delle relazioni internazionali e, quindi, anche dei rapporti commerciali e finanziari. Non mi pare che questa sia dinamica da sottovalutare, considerando che ristabilire il multilateralismo negli scambi internazionali era stato proprio uno dei primi "passi" compiuti dalle organizzazioni economiche internazionali nel Secondo Dopoguerra o dall'Accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio (GATT) del 1947, precursore quest'ultimo dell'Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) costituita nel 1995. Lo scopo era chiaro: il commercio può essere un grande volano di crescita diffusa».