Multe miliardarie (o quasi). Ma alla fine vengono pagate o no?

Violazioni della privacy e nel campo della pubblicità. Google dovrà pagare oltre 750 milioni di dollari. Ne parliamo con l'avvocato Niccolò Salvioni: «L'impatto non sono i soldi, è il segnale politico. Siamo alla fine dell'era "faccio quello che voglio"»
Una giornata "no", quella di ieri, per Google. Il colosso informatico è stato sanzionato, due volte (ed entrambe "a otto zeri"), per una grave violazione della privacy a danno di 100 milioni di utenti (di cui ha continuato a raccogliere i dati privati nonostante questi avessero disattivato la relativa impostazione) e per violazioni nel campo della pubblicità e dell'utilizzo dei cookies. La prima multa, scaturita da un tribunale federale di San Franscisco, è di 425,7 milioni di dollari. La seconda, pari a 325 milioni di euro, reca la firma dalla CNIL, l'authority indipendente francese incaricata di tutelare la privacy. Ma questo genere di sanzioni destinate alle cosiddette "Big Tech" alla fine vengono effettivamente saldate o rimangono titoli di giornale?
«Non sono solo titoli di giornale. Google ha già pagato oltre 8 miliardi di euro in multe europee dal 2010», ci spiega l'avvocato Niccolò Salvioni, membro di lungo corso della Commissione digitalizzazione dell'Ordine degli avvocati del Cantone Ticino. «La particolarità forse è che talvolta ci vogliono anni tra la sentenza e l'incasso. Per capirci: oggi Google deve pagare oltre 750 milioni di dollari in un colpo solo - 425 milioni di dollari agli Stati Uniti e 325 milioni di euro alla Francia. In più, se in Francia non cambia le sue pratiche pubblicitarie entro sei mesi, dovrà pagare 100'000 euro al giorno di penale».
Il quadro, in altre parole, non è uguale ovunque. «Da noi in Svizzera - prosegue Salvioni - funziona diversamente: invece di multe dirette amministrative come in Europa, si va dal giudice penale. Il nostro Incaricato federale della protezione dei dati e della trasparenza di Berna può solo fare raccomandazioni, non multare direttamente come fa la CNIL di Parigi. Google ha già annunciato ricorso contro la sentenza californiana e molto probabilmente lo farà anche per quella francese, ma alla fine, se condannata, paga sempre».
Sanzioni massicce o solo spiccioli?
Agli occhi di una persona comune, stiamo parlando di cifre enormi. Difficili da immaginare. E ancor più difficile è immaginare l'impatto che può avere il fatto di doversene privare. È per questi colossi? Si tratta solo di spiccioli?
«Parliamo chiaro: sì», afferma Salvioni. «Per dare un'idea delle proporzioni: Google vale 2'756 miliardi di dollari e ha fatto 28,2 miliardi di profitti solo nel secondo trimestre 2025. Per fare un rapporto "umano" e meno "siderale", queste multe da 750 milioni equivalgono a 10 giorni di guadagni. È come se a un ticinese medio che guadagna 6'000 franchi al mese facessero una multa di 60 franchi: fastidiosa, non rovinosa. Però l'impatto vero non sono i soldi, è il segnale politico. Siamo alla fine dell'era "faccio quello che voglio", ora i colossi Big Tech, che operano in tutto il mondo con bilanci superiori a molti Stati, devono rendere conto, anche in Europa».
«Le multe simultanee? Forse non è un caso. È anche guerra commerciale»
E la reputazione? «Ecco il punto dolente per Google». Perché «queste sanzioni arrivano nel momento peggiore: l'intelligenza artificiale sta erodendo il monopolio dei motori di ricerca tradizionali. Altri competitori IA stanno rubando fette di mercato. Google cerca di posizionarsi come "leader responsabile nell'IA" - ha anche un grande centro di ricerca nella Greater Zurich Area. Ma come si fa a dire "fidatevi di noi per l'IA" quando poi vieni multato per asserite violazioni della privacy? La simultaneità delle multe - una americana e una europea – forse non è casuale. È anche guerra commerciale: dietro queste cifre astronomiche c'è la battaglia per decidere chi comanda nell'economia digitale del futuro».
«Mentre la Francia multa Google, la Svizzera ha rinunciato alla digital tax per evitare i dazi USA sui nostri prodotti. Una scelta che ci costa cara: importiamo circa 15-20 miliardi in tecnologie digitali USA esenti da dazio all'anno, mentre i nostri prodotti vengono tassati al 39%. Il verdetto? Economicamente Google sopravvive, ma reputazionalmente non è un buon segnale. L'era dell'autoregolamentazione tecnologica, forse, è finita».