«Vado controcorrente e ne sono fiera»


Nell'era degli acquisti online e dei fallimenti aziendali, la 44enne Katya Testori apre un negozio di oggetti per bimbi. L'esperta commerciante: «Clienti sempre più diseducati da internet».
Nell'era degli acquisti online e dei fallimenti aziendali, la 44enne Katya Testori apre un negozio di oggetti per bimbi. L'esperta commerciante: «Clienti sempre più diseducati da internet».
GIUBIASCO - «Certo che i momenti di scoraggiamento non mancano». Nell'era degli acquisti online e dei fallimenti aziendali c'è chi decide di andare controcorrente, aprendo un negozio di nicchia. Una follia? Forse. Lei è Katya Testori, 44 anni, titolare del Belli e Monelli di Giubiasco, bottega specializzata in oggettistica e vestiti per bambini. «Sì, vado controcorrente. E ne sono fiera».
Consumo consapevole – Di certo quello di Katya è un azzardo. Concretizzato proprio nel Bellinzonese dove ormai da diversi anni si nota una moria graduale di piccoli negozi. «La prima cosa da fare è cercare di distinguersi. Poi, certo, sono andata a vedere i luoghi in cui vengono realizzati gli oggetti e i vestiti che vendo. È importante, per poi promuovere un consumo consapevole».
La nota stonata – «Il problema – spiega Claudia Pagliari, presidente della Società commercianti di Bellinzona – è che tanta gente è diseducata alla qualità. C'è chi arriva in negozio e ti chiede lo sconto dello sconto. Perché su alcune piattaforme in internet ha visto la merce costare pochissimo. Queste persone non stanno a chiedersi come mai sul web quel prodotto costi meno. C'è una fetta di clientela comprensiva e informata, ma col tempo questo zoccolo duro si riduce. E ti ritrovi sempre di più a dovere contrattare con clienti insensibili».
Katya TestoriKatya nel suo negozietto con alcuni piccoli clienti.
Tra aspettative e realtà – Viale Olgiati. Circa 65 metri quadrati. È qui che si svolge la sfida quotidiana di Katya. «Quando apri un negozio del genere – sospira – magari parti con aspettative alte. E poi ti scontri con la realtà. A volte vedo la gente fuori dal negozio e mi domando: perché non entra nessuno?».
Primo anno senza stipendio – Katya non si monta la testa. Sa di non avere ancora portato a casa uno stipendio. «E per fortuna che c'è mio marito. Adoro i bambini, sono due volte mamma. Aprire un negozio del genere era il mio sogno. Per concretizzare sogni del genere tuttavia devi avere qualcuno a casa che ti capisce e ti sorregge. Il primo anno è di rodaggio. Lo stipendio arriverà».
Notizie negative – Guardare avanti, già. Anche quando si constata che il numero di fallimenti aziendali in Svizzera è in costante ascesa (17'000 nel 2024, con un + 26% registrato in Ticino). E anche quando si sa che questo è un periodo in cui la natalità è ai minimi storici. Le ricorrenti notizie su questi temi non demoralizzano Katya? «Le sento. Le leggo. Ma poi mi dico che devo pensare alla mia situazione specifica. In fondo i bambini ci sono. Io sono da sola in negozio, non ho bisogno di fare una cifra d'affari di 10'000 franchi al giorno».

Mai sereni – «È bello avere degli ideali – precisa Pagliari –. Ma a un certo punto occorre essere pragmatici. Il piccolo negoziante oggi è con la mente sempre proiettata in avanti. Non è mai sereno. Deve essere bravo a intuire i cambiamenti sociali, le svolte nei gusti della clientela. Magari il marchio che vendi adesso, tra quattro mesi non interessa più. E allora dovrai adattarti. E poi c'è la burocrazia che ti porta via un sacco di tempo».
Calore umano – Si dice che i social network siano davvero d'aiuto per chi ha un'attività commerciale. È così? Per Katya solo fino a un certo punto: «Cerco di seguire la mia clientela anche nel post vendita, mantengo i contatti per capire se le persone restano soddisfatte. Nel mio caso conta di più il passaparola. In passato ho avuto esperienze nella vendita e nella ristorazione. Il calore umano è fondamentale. Anche in tempi così virtuali».
Una vita di sacrifici – «Il passaparola è importante – sottolinea Pagliari –. Chi apre un piccolo negozio per conto suo deve comunque essere pronto a una vita di sacrifici. Soprattutto se non può permettersi magari una commessa. Il tempo libero diventa consacrato al negozio. Non c'è più una separazione netta tra vita privata e lavoro».
«Un dato di fatto» – E così il rischio è di portarsi a casa le questioni della bottega. «Non è un rischio – puntualizza Pagliari –. È un dato di fatto. Inoltre vivi in costante apprensione. Sai che quello che hai fatto finora non conta molto, perché le abitudini della gente cambiano repentinamente. Con questa premessa diventa complicato pianificare qualsiasi cosa. Ho quasi 30 anni di esperienza e ho visto cambiamenti enormi, soprattutto negli ultimi anni».







