10'000 franchi per morire in Svizzera: «L'ho scoperto dall'estratto conto di mio figlio»

Sono dalle 200 alle 300 l'anno le persone che scelgono di morire nella Confederazione e si affidano all'associazione Pegasos. Per i famigliari, e non solo, il loro operato è tutt'altro che esente da critiche.
Con sede legale a Nunnigen (SO), paesino di meno di 2'000 abitanti nella campagna solettese, l'associazione Pegasos per il suicidio assistito sta nuovamente facendo parlare di sé. Soprattutto Oltremanica.
Come riferito dalla Rts, dopo il caso della cittadina irlandese che si era tolta la vita all'oscuro dei familiari, ne stanno emergendo diverse altre, provenienti prevalentemente dal Regno Unito e dal mondo anglosassone.
Stando alle stime della Radiotelevisione svizzera, sarebbero dalle 200 alle 300 le persone che decidono di porre fine alla propria vita con l'ausilio di Pegasos.
I requisiti non sono particolarmente severi: basta essere maggiorenni, dimostrare di essere in grado di intendere e di volere, e versare un obolo attorno ai 10'000 franchi.
Grazie a quanto sancito dall’articolo 115 del Codice penale svizzero, che riguarda il suicidio assistito, la pratica è perseguibile solamente se l'istigazione e/o l'aiuto hanno «motivi egoistici».
In questo senso però, il contributo a quattro zeri, per alcuni e per praticamente tutti i familiari delle persone che si sono rivolte a Pegasos, rasenta il limite del venale e sarebbe tutt'altro che altruista.
Contattata dalla Rts, Pegasos non ha voluto rilasciare alcuna dichiarazione né intervista. Uno dei broker che per l'associazione organizza i viaggi dal Regno Unito verso la Svizzera per trovare la “dolce morte” sostiene che l'associazione «vuole solamente aiutare gli stranieri, permettendo loro di beneficiare della legge svizzera sul suicidio assistito. Se ci sono stati degli errori? Forse qualcuno, ma da ogni sbaglio l'associazione trae insegnamento e cresce».
Alastair, Anne e Maureen
«Mamma, vado in vacanza a Parigi, ti voglio bene», le ha detto e invece stava andando in Svizzera, da Pegasos. Il racconto della madre, la londinese Judith, ha diversi tratti analoghi alle storie di altre persone che hanno visto sparire all'improvviso i loro cari, toltisi la vita nella Confederazione: «Alastair offriva di dolori addominali, ma non potevo pensare che sarebbe finita così, aveva una bella vita, una vita che tantissimi gli avrebbero invidiato».
«Credevo fossero necessarie perizie psichiatriche o comunque ci fosse un processo più complesso», racconta invece David la cui sorella Anne si è tolta la vita a gennaio di quest'anno: «Invece è stato tutto velocissimo, in una mattinata tutto era finito».
Che mamma Maureen fosse morta, Megan lo ha scoperto da un messaggino WhatsApp: «È un insulto». Ad aggiungere ulteriore angoscia al lutto, il fatto che la madre - che soffriva di patologie mentali - si fosse finta lei per convincere l'associazione: «Mi hanno detto che cambieranno le procedure, e che è stato un errore, ma questo non cambia il nostro dolore».