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Labubu: «Fenomeno pop, ma non chiamiamola arte»

Battuti all'asta a prezzi vertiginosi, hanno trovato ospitalità persino all'Art Basel 2025. Il giocattolo di culto finirà nei libri di storia dell'arte? L'esperta frena gli entusiasmi: «Solo un'ottima operazione di marketing»
Tio/20Minuti/DavideGiordano
Labubu: «Fenomeno pop, ma non chiamiamola arte»
Battuti all'asta a prezzi vertiginosi, hanno trovato ospitalità persino all'Art Basel 2025. Il giocattolo di culto finirà nei libri di storia dell'arte? L'esperta frena gli entusiasmi: «Solo un'ottima operazione di marketing»

LUGANO - La mania per i buffi pupazzi pelosi dai denti aguzzi continua. Lo dimostra la lunga coda di fan che questa mattina, all’apertura della Manor di Lugano, erano in fila per aggiudicarsi uno dei giocattoli firmati Pop Mart, disponibili in edizione limitata.

La moda dei Labubu sta spopolando a livello globale, riuscendo a valicare i confini dell'oggetto di consumo fino ad assurgere alla dignità di arte pop contemporanea. Una statuetta di Labubu a grandezza naturale è stata venduta per 1,08 milioni di yuan dalla casa d’aste di Pechino Yongle International Auction il 10 giugno 2025. I Labubu erano presenti anche all’edizione 2025 di Art Basel: 100 esemplari nel blu iconico della manifestazione, ognuno con in mano una livella a bolla, a simboleggiare ciò che serve per “appendere l’arte come si deve”. Prezzo: 200 franchi.

Insomma, a dispetto di chi li vede come un orrendo prodotto del consumismo contemporaneo, questi bambolotti sembrano non accontentarsi dell'etichetta di giocattolo o accessorio da borsetta, cercando di ritagliarsi un posto nella storia del design e dell'arte contemporanea.

Stiamo parlando davvero di arte pop o è una semplice operazione di marketing di successo? Lo abbiamo chiesto a una collaboratrice della Kromya Art Gallery di Lugano.
«Non è una novità il fatto che, ciclicamente, ci siano oggetti che hanno tanta presa sul pubblico generalista. Che questa sia un'operazione di successo è evidente. Hanno fatto un lavoro egregio, non c'è che dire. Da qui a inserire queste bambole in un contesto d'arte contemporanea adesso... Certamente possiamo parlare di un prodotto pop. Se poi lo ricorderemo in futuro o se sarà inserito nei libri di storia dell'arte... ecco, forse no».

L'arte deve essere sempre "alta", cervellotica, elitaria o può anche essere leggera e giocosa?
«Solitamente non è nelle intenzioni dell'artista realizzare qualcosa di difficile lettura. In genere l'artista crea spinto da un'esigenza, solitamente personale. È poi tutto ciò che gli gravita attorno, dalla critica al curatore, che va a indagare ed arricchire la narrazione attorno a quell'opera. La visione dell'artista di solito è molto semplice. L'arte deve essere fruibile, per tutti. Assoutamente non è e non deve essere elitaria».

Operazioni di questo tipo, che introducono elementi della cultura pop in contesti artistici, possono contribuire ad avvicinare il pubblico al mondo dell’arte?
«Se questo fosse l'intento sarebbe assolutamente lodevole. Non credo che l'operazione Labubu sia nata con queste intenzioni. Che riesca addirittura a canalizzare una grande fetta di popolazione verso l'arte la vedo una cosa difficile».

Non ne riconosce neanche la componente di design? Lo trova brutto?
«Qui entriamo nel campo del gusto personale. Tra l'altro ho dei figli adolescenti e ce l'hanno. Quello che posso dire è che queste bamboline hanno risvegliato un ricordo del passato. Quando ero bambina era di moda il Moncicci. Ecco, trovo fosse più carino quello. Ma probabilmente è una suggestione, la stessa che avranno i miei figli da grandi quando i loro figli andranno pazzi per l'ennesimo pupazzetto alla moda».

Il fenomeno Labubu secondo lei avrà vita lunga o morirà da qui a breve?
«È tutto nelle mani del pubblico. Staremo a vedere».

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