«Tra Wanna Marchi e un predicatore religioso non c'è alcuna differenza»

Gli svizzeri stanno perdendo la fede. L'Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti: «Forse nemmeno i nostri nonni credevano. Andavano a messa per conformismo»
LUGANO - In Svizzera la fede sembra lentamente scivolare nell’ombra. Secondo i recenti dati dell’Ufficio federale di statistica, siamo sempre meno religiosi: si prega di meno, si va più raramente in chiesa e non si crede più in Dio. Un cambiamento silenzioso, ma profondo e costante, che non si limita alla perdita di appartenenza formale a una confessione, ma investe pratiche, convinzioni e identità personali.
Cosa sta succedendo? È solo una questione generazionale o stiamo assistendo a una trasformazione culturale più ampia? Lo abbiamo chiesto a Manuel Bianco, referente per la Svizzera dell'Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti (UAAR).
Quali sono oggi le principali cause della perdita di fede nelle società moderne come quella svizzera?
«Prima di tutto dovremmo porci un interrogativo: andare a messa la domenica equivale automaticamente ad avere fede? Quanti, anche tra i nostri nonni, lo facevano per mero conformismo e quanti invece perché credevano veramente in qualcosa? Senz'altro la perdita di fede nella modernità dipende da molti fattori, come ad esempio una maggiore istruzione, l’avanzamento della scienza, maggiori possibilità di informarsi, il benessere diffuso e le ampie possibilità di svago. Tutto questo ha contribuito alla caduta di quella sovrastruttura invisibile di biasimo e condanna sociale che spingeva le persone ad accettare dogmi religiosi per poter essere inclusi nella società. È certo che godiamo ancora dell'onda lunga della straordinaria età dei lumi, che ha posto le basi per il pensiero razionale e logico sopra i dogmi, ma attenzione al futuro».
Quindi, secondo l'UAAR, la conoscenza ha un ruolo in questo processo di secolarizzazione?
«Molto importante. Pensiamo solo a cosa significhi poter conoscere le leggi che governano il mondo e poter affermare senza dubbio alcuno che gli episodi più straordinari menzionati nella Bibbia sono frutto di fantasia, impossibili. Una volta l'autorità era il prete e il contraddittorio impensabile».
Molti ex fedeli dichiarano di abbandonare la religione per disaccordi con le posizioni ufficiali delle confessioni religiose. Quanto pesa, secondo lei, l’etica religiosa tradizionale in questo allontanamento?
«Dovreste chiederlo a queste persone, noi come UAAR ci impegniamo per una società laica, fondata su valori universali e razionali. Posso annoverare diversi soci fuggiti da ambienti religiosi dopo anni di violenze psicologiche e di privazioni della libertà, perpetrate sin dalla più tenera età. Vivendo per fortuna in una parte di mondo che fa della libertà uno dei suoi pilastri, possiamo rifiutare certi atteggiamenti autoritari che vorrebbero imporci come vivere. Un passo che, in ogni caso, richiede coraggio. Ad oggi, spesso, una scelta del genere si trascina pressioni psicologiche e minacce, anche da parte della propria famiglia. C’è chi si ritrova isolato».
Come spiega il fatto che molte persone dichiarino di riscoprire la spiritualità nei momenti di difficoltà o di malattia?
«È comprensibile, il vuoto spaventa. Sono scelte personali e, come tali, vanno rispettate. Come UAAR vogliamo semplicemente che le scelte di fede non vengano imposte agli altri. Avere i preti nelle corsie d’ospedale, come accade in Italia, è un perfetto esempio di mancanza di rispetto per chi non crede».
È possibile conciliare un atteggiamento razionalista con forme di spiritualità o ricerca di senso?
«L'UAAR non si permette e non ha interesse a intromettersi nelle scelte di pensiero dei singoli. Anzi, ci battiamo perché chiunque abbia il diritto alla propria autodeterminazione. Distinguiamo però tra spiritualità e ricerca di senso, la prima si basa su dogmi senza logica e su storie fantasy, la seconda è dare risposte a quesiti fondamentali come l’origine dell’uomo stesso».
Pensa che questa "riscoperta" temporanea della religione sia più un bisogno psicologico che una vera riacquisizione di fede?
«Bisogna avere il coraggio di riconoscere che tra una Wanna Marchi che vende sali miracolosi per guarire dal cancro e un predicatore religioso che vende il paradiso in cambio di un'offerta non c'è alcuna differenza. Quando parliamo di razionalismo intendiamo proprio la capacità di vedere ciò che accade in maniera oggettiva, senza filtri culturali».
Come risponde l’UAAR al bisogno di conforto o di senso nei momenti difficili della vita, se non con la religione?
«Non è negli scopi dell'UAAR dare conforto. La morale e la filosofia esistono indipendentemente dalla religione. Piuttosto guardiamo al coraggio di coloro che scelgono di terminare volontariamente la propria vita, e che si appoggiano ai propri cari, ad una rete di persone disposte ad aiutarle o ad associazioni laiche. La comunità è un concetto che trascende la religione. Noi puntiamo proprio a creare una comunità dove chiunque possa esprimersi come preferisce».
Pensa che la secolarizzazione continuerà ad avanzare oppure vede un possibile ritorno alla fede nei prossimi decenni, magari in forme nuove o personalizzate?
«Non è il cristianesimo che fermerà il dogmatismo musulmano, che umilia la donna e impone rituali barbari come la circoncisione. Anzi, tutte le religioni semitiche hanno la stessa origine e lo stesso modo vergognoso di considerare la donna alla stregua di una macchina sforna figli che deve obbedienza al proprio padrone. Il solo argine che difenderà le nostre libertà individuali è la cultura universalistica dei lumi che rifugge le assurdità della religione. Sì, il rischio di un’involuzione esiste sempre. Le religioni possono cambiare copertina, ma il contenuto sarà sempre lo stesso: sacrifici, riti irrazionali che ci accompagnano dalla notte dei tempi. Magari in Chiesa metteranno divani e l'angolo per i bambini per colorare, ma i concetti di base rimarranno sempre gli stessi».