Le città non reggono il caldo: «Si rischiano crolli e blackout»


Il cedimento dell'insegna di Generali, a Milano, potrebbe essere segnale dell'impatto del cambiamento climatico. L'esperto: «Serve un'architettura che sappia adattarsi alle nuove condizioni ambientali estreme senza fagocitare risorse»
Il cedimento dell'insegna di Generali, a Milano, potrebbe essere segnale dell'impatto del cambiamento climatico. L'esperto: «Serve un'architettura che sappia adattarsi alle nuove condizioni ambientali estreme senza fagocitare risorse»
LUGANO - Milano: in una mattina come tante di un'estate rovente, la struttura che sorregge l'insegna di Generali, posta su uno dei grattacieli simbolo del quartiere Citylife, collassa. In poche ore si fa strada l'ipotesi che non si sia trattato solo di un problema strutturale, ma del segnale più evidente di un’urgenza che stiamo ignorando: le nostre città non sono pronte ad affrontare il cambiamento climatico. Il crollo si farebbe così manifesto concreto di quanto il riscaldamento globale stia compromettendo l’affidabilità delle nostre infrastrutture.
Un'ipotesi che abbiamo voluto condividere e commentare assieme a Luca Giordano, specializzato in architettura bioecologica ed Energy management. A lui abbiamo chiesto: quanto verificatosi sulla Torre Hadid può davvero essere colpa delle temperature sopra la media?
«L’incidente del 30 giugno scorso non può essere attribuito con certezza esclusiva al caldo torrido. Si tratta infatti di un mix di fattori. Certo, temperature elevate - che sulle superfici metalliche raggiungono i 60–70 °C - potrebbero aver generato stress termico, dilatazioni eccessive, contrasto fra zone calde e fredde e sollecitazioni strutturali tali da rompere i tiranti. Tuttavia vigili del fuoco e ingegneri, pur confermando un “cedimento meccanico” dei tubi di supporto, non confermano il ruolo diretto del caldo; la responsabilità primaria sembra collegata a un difetto strutturale. Il caldo potrebbe aver influito, ma non è la causa principale accertata. Solo i risultati ufficiali dell’inchiesta forniranno una diagnosi definitiva».
Possibile che chi abbia progettato l'edificio non abbia calcolato lo stress termico?
«Sì, è possibile. La Torre Hadid è stata completata nel 2017. All'epoca le temperature estive medie a Milano erano alte, ma non ai livelli attuali, che sono estremi. I progettisti hanno probabilmente usato dati storici o normativi del tempo, senza prevedere l’accelerazione del cambiamento climatico degli ultimi anni. Con le temperature attuali, le dilatazioni termiche nei materiali metallici possono essere molto elevate. Pochi millimetri possono mettere sotto sforzo tiranti e ancoraggi. Già dopo 7–10 anni, un’insegna metallica può essere soggetta a fatica meccanica, ossidazione interna, microfessure o cedimenti dei giunti. Se i supporti non erano pensati per muoversi/compensare in modo elastico, il metallo, dilatandosi, può aver spinto eccessivamente sugli ancoraggi. Le strutture complesse a grande altezza devono essere controllate periodicamente, anche a livello di bulloneria e saldature».
La forza mostruosa e devastante della pioggia, purtroppo, la conosciamo bene. Del potere del caldo non se ne parla mai. Che conseguenze può avere su infrastrutture o servizi essenziali?
«Le centrali termoelettriche e nucleari hanno bisogno di acqua per raffreddarsi: se i fiumi sono troppo caldi o secchi, devono ridurre la produzione o spegnersi. Anche gli impianti fotovoltaici perdono efficienza: l’eccessivo calore fa calare il rendimento dei pannelli solari (paradossalmente, producono meno proprio quando servirebbe di più). Le ondate di calore aumentano il rischio di incendi, che possono danneggiare o interrompere le linee elettriche (soprattutto in zone rurali o montane). Spesso questi eventi causano blackout prolungati, come successo in California, Australia, Sicilia e Grecia. Il caldo torrido ha diverse conseguenze gravi sulle reti elettriche, perché tutta l’infrastruttura (produzione, trasmissione e distribuzione) è sensibile alle alte temperature».
Qual è la sua visione dell’architettura del domani?
«La migliore architettura del domani, in relazione al caldo torrido e ai cambiamenti climatici, sarà quella climaticamente resiliente, ovvero capace di adattarsi alle nuove condizioni ambientali estreme senza consumare quantità insostenibili di risorse. In pratica: meno climatizzatori, più intelligenza progettuale. Occorrerà quindi progettare in funzione del clima locale, usando la natura a vantaggio dell’edificio. L’architettura di domani deve essere passiva, cioè capace di regolare calore e ventilazione senza usare energia; verde, cioè integrante la vegetazione come soluzione tecnica; riflettente, minimizzando l’assorbimento solare; adattiva, cioè in grado di cambiare assetto in risposta al clima; circolare, cioè pensata per durare e rigenerarsi. Un esempio in tal senso è la Torre di Eva, progetto da noi realizzato ed in corso d’opera all’11 di via Mazzini, a Lugano».