«Senza Nato, la Svizzera è vulnerabile»

Martin Pfister fa il punto della situazione sulla difesa elvetica, tra attacchi di droni mirati, sabotaggi e cyberattacchi. E sugli F-35: «Un acquisto sensato e necessario»
BERNA - Che cosa accadrebbe se la Svizzera venisse attaccata? E come reagirebbero la Nato e i Paesi vicini?
Sono alcune delle domande affrontate dal consigliere federale e capo del Dipartimento della difesa, protezione e sport (DDPS), Martin Pfister, in una lunga intervista pubblicata oggi dalla NZZ.
In un contesto segnato dai «venti di guerra», che Pfister paragona agli anni Trenta, la risposta è netta: non essendo membro della Nato, la Svizzera non potrebbe contare sulla clausola di difesa collettiva. «L’Alleanza non avrebbe obbligo di intervenire», osserva, sottolineando così la maggiore vulnerabilità del Paese, esposto «a possibili ricatti» e a minacce mirate, come «attacchi con droni in grado di causare danni significativi alle nostre infrastrutture».
Tra i possibili obiettivi ci potrebbe essere anche la «Stella di Laufenburg», l’hub elettrico europeo nel Canton Argovia. Sorvoli di volo che «si sono già verificati, di cui però non sappiamo con certezza la provenienza». Per questo motivo è essenziale «investire miratamene in misure di rilevamento e difesa», così come mantenere «una cooperazione efficace con eserciti partner e coltivare relazioni internazionali stabili e affidabili», aggiunge.
Droni e cyberattacchi - Tra gli scenari che più lo preoccupano vi è sicuramente la «destabilizzazione interna sistematica degli Stati occidentali», perseguita con disinformazione, sabotaggio e cyberattacchi – fenomeni che non risparmiano nemmeno la Svizzera. «Se si diffondono paura e dubbi, la coesione interna si sgretola e la cooperazione internazionale diventa più difficile».
Pfister respinge invece l’idea di un imminente attacco esplorativo da parte della Russia - ventilato nelle scorse settimane dall'ex capo dell’aviazione Bernhard Müller - volto a testare la reazione della Nato. «Un pericolo immediato non lo vedo. Ma se oltre all’Ucraina fossero coinvolti altri Stati, anche la Svizzera ne risentirebbe pesantemente». Una vulnerabilità, quella elvetica, aggravata dalla scarsità delle riserve di munizioni per la difesa aerea.
Collaborazione con gli Stati Uniti - Da qui la necessità di rafforzare la collaborazione, in particolare con gli Stati Uniti. La cooperazione militare con Washington «funziona bene», ricorda Pfister, citando la formazione dei piloti svizzeri e la nuova partnership con la Guardia Nazionale del Colorado. Anche l’acquisto degli F-35 procede, «a parte la questione del prezzo fisso, mentre il sistema di difesa Patriot ha subito ritardi tali da sospendere i pagamenti».
Pfister, che tra l'altro è un colonnello dell'esercito, ribadisce la validità della scelta dei 36 aerei militari da combattimento: «Grazie alla tecnologia stealth, alla sensoristica avanzata e a una rete senza pari, i piloti possono condividere un quadro completo della situazione con gli alleati: un vantaggio cruciale per la difesa aerea. Le indicazioni condivise aiutano a decidere se impiegare sistemi terra-aria, missili, droni o disturbatori. Più F-35 ci sono in Europa, meglio è».
Non esclude poi ulteriori acquisti di armamenti statunitensi, anche in funzione delle trattative sui dazi del 39% imposti dal presidente Donald Trump che gravano sulle esportazioni svizzere.
«Nelle trattative in corso con gli USA il Consiglio federale vuole ottenerne una riduzione. In questo contesto ho detto che sarei disposto a discutere di ulteriori acquisti». Aggiunge inoltre che vorrebbe avere margini di spesa più ampi, ma il vincolo resta il limite di 6 miliardi fissato dal voto popolare.
Un incarico complesso, quello assunto quest'anno da Pfister, che però non rimpiange: «È una grande responsabilità, ma anche un grande privilegio».