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SOLETTA

Schiavizzata dalla cognata: minorenne costretta a prostituirsi per mantenere la famiglia

Inflitti 42 mesi di carcere a una donna per aver fruttato la cognata minorenne. Con i soldi della prostituzione doveva sfamare l'intera famiglia composta da sei persone.
20min/ Michael Scherrer
Schiavizzata dalla cognata: minorenne costretta a prostituirsi per mantenere la famiglia
Inflitti 42 mesi di carcere a una donna per aver fruttato la cognata minorenne. Con i soldi della prostituzione doveva sfamare l'intera famiglia composta da sei persone.

SOLETTA - È una storia di miseria e di disagio quella che arriva oggi dalle pagine della SolothurnerZeitung. Una donna del Canton Soletta è stata condannata a tre anni e mezzo di carcere per aver costretto la propria cognata minorenne a prostituirsi. Secondo quanto stabilito dal Tribunale federale, la donna organizzava gli incontri sessuali della ragazza, fissava le tariffe e pretendeva un incasso minimo giornaliero di 1000 franchi.

Neppure la malattia o il ciclo mestruale costituivano motivo per interrompere l’attività: tra gennaio e luglio 2020, la giovane ha guadagnato circa 40.000 franchi, somma che serviva a mantenere l’intera famiglia composta da sei persone. Parte del denaro, riporta la Solothurner Zeitung, è stato speso per l’acquisto di un’auto.

La vicenda era già approdata in tribunale il 26 gennaio 2022, quando il Tribunale distrettuale di Thal-Gäu aveva condannato la donna per favoreggiamento della prostituzione e lesioni semplici, infliggendole una pena detentiva di 42 mesi. Le lesioni riguardavano ustioni provocate alla cognata con il bordo rovente di un accendino. Alla condanna si erano aggiunti un risarcimento di oltre 48.000 franchi e un’indennità per torto morale di 12.000 franchi.

L’11 aprile 2023 il Tribunale cantonale di Soletta aveva confermato il verdetto, aumentando l’indennità per torto morale a 15.000 franchi e respingendo l’appello dell’imputata.

La donna si era poi rivolta al Tribunale federale chiedendo l’assoluzione, l’annullamento di tutte le spese processuali e il patrocinio gratuito, sostenendo che fosse il marito a incassare i proventi e invocando il principio “in dubio pro reo” (nel dubbio, a favore dell’imputato). La massima corte non ha accolto le sue argomentazioni e l’ha condannata a pagare ulteriori 12.000 franchi di spese giudiziarie.

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