Ragazze violente, l'emergenza di cui non si parla: «Rischiamo di perderle»

Crimini in impennata fra le minorenni svizzere, soprattutto quelli violenti. Ma le strutture per accoglierle, e aiutarle mancano. La psicologa: «È una forma di reazione, di giovani con le spalle al muro»
ZURIGO - Una rivolta in una struttura per giovani donne problematiche, tanto violenta e furibonda da richiedere l'intervento della polizia con tanto di tuta anti-sommossa e proiettili di gomma.
Quanto successo al foyer Lory nel canton Berna, messo letteralmente a ferro e fuoco da un gruppetto di cinque ragazze minorenni barricatesi al suo interno, rappresenta simbolicamente in maniera accurata l'attuale situazione in Svizzera dell'assistenza a ragazze in situazioni difficili e con trascorsi turbolenti.
Stando al TagesAnzeiger, che ha recentemente dedicato un reportage alla tematica, in tutta la Confederazione strutture di questo tipo (ovvero dedicate esclusivamente alle giovani donne) sono pochissime a fronte di un disagio in crescita costante.
Disagio che, non di rado, si traduce in crimini violenti e non si parla solo di risse ma anche di aggressioni all'arma bianca, come confermano dall'Istituto svizzero delle scienze penitenziarie.
Stando invece all'Ust, negli ultimi 5 anni le minorenni condannate per vari reati sono cresciute del 25% (a fronte di un +17% dei giovani uomini). A risultare particolarmente in crescita è il numero di reati violenti.
Dirk Baier, professore di Criminologia all'Università di Zurigo sostiene che la causa di tutto ciò sia «l'enorme stress psicologico a cui sono costantemente sottoposte le giovani donne» a cui si accompagna «una generale carenza di mezzi e possibilità di terapia che può portare allo sviluppo di disturbi gravi che si traducono in atti violenti».
Se poi i foyer sono pochi, e finiscono per riunire i casi più gravi, la possibilità di un cocktail devastante cresce esponenzialmente. Stando a quanto riferito dal quotidiano zurighese, sono diverse le strutture in cui sono state segnalate aggressioni potenzialmente tragiche, con ragazze che finiscono per puntare coltelli - o, in un caso, una scheggia di vetro - al collo del personale curante.
L'Autorità regionale di protezione del Canton Berna, interpellata dal TagesAnzeiger, parla di «una crisi assistenziale preoccupante» che si sta palesando da due anni a questa parte e che sta mettendo «a dura prova» le istituzioni. Mancano posti letto, manca un'adeguata assistenza psichiatrica per le ragazze, insomma: mancano le risorse.
E Berna non è un'eccezione, anzi. Stando a Benjamin Brägger dell'Istituto svizzero delle scienze penitenziarie è necessario un ampliamento degli alloggi protetti per giovani ragazze. L'obiettivo non è affatto quello di rinchiuderle ma fornire «un supporto sociale e psicologico» seguendo queste persone da vicino.
Il rischio concreto è «quello di perderle» e lasciarle senza prospettive per il futuro: «un problema che rischia di riguardarci per i decenni a venire».
Allo stesso tempo carnefici e vittime
Quella femminile è una «violenza reattiva» ben diversa da quella «proattiva» maschile, ne è continva la terapeuta bernese Leena Hässig che da decenni lavora con ragazze e donne in situazioni di disagio: «Dieci anni fa dicevo che la violenza femminile era un tabù, oggi i fatti mi danno ragione», sentenzia sulle pagine della Berner Zeitung, «per donne e ragazze si tratta di una risorsa a cui si attinge quando si è con le spalle al muro, dopo un lungo periodo di malessere e di “cova». Proprio Hässig, nei suoi studi, ha coniato il termine “vittima-carnefice”: «Per loro la violenza è spesso una reazione a una situazione di impotenza o di aggressione, è uno strumento per provare a smettere di essere vittime e di auto-affermarsi. Agli occhi dei coetanei o degli adulti. Spesso vogliono smettere di essere indifese come lo sono state le loro madri».