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Molestate (anche) mentre fanno sport

Vittime di catcalling, il fenomeno è diffuso anche alle nostre latitudini. L'esperta: «Non sono complimenti, ma atti di dominio»
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Molestate (anche) mentre fanno sport
Vittime di catcalling, il fenomeno è diffuso anche alle nostre latitudini. L'esperta: «Non sono complimenti, ma atti di dominio»

ZURIGO - Commenti volgari, fischi e urla che molestano e intimidiscono le donne per strada: è il fenomeno del catcalling, che colpisce anche chi fa sport. Sono numerose le segnalazioni arrivate alla redazione di 20 Minuten. Una 32enne di Zurigo racconta di essere spesso vittima di molestie mentre corre per le vie della città: «Quando gli uomini mi urlano "hopp hopp", di certo non mi fanno correre più veloce», dice con amarezza. Per evitare simili episodi preferisce allenarsi nei parchi, dove ci sono più persone. «Lì non mi insultano apertamente, ma gli sguardi restano. Alcuni fissano il mio petto o mi fanno l’occhiolino».

La situazione non cambia nemmeno quando si allena in bicicletta, e la presenza del compagno non sembra dissuadere gli aggressori. «Una volta stavo affrontando una salita, quando un’auto mi ha sorpassata a tutta velocità, sfiorandomi. Dal finestrino qualcuno ha urlato: "Bel culo!". Episodi così ti rovinano la giornata: perdi concentrazione, sparisce il piacere di fare sport e svanisce anche l’orgoglio per i tuoi progressi».

Un’altra testimone, oggi 28enne, ricorda un episodio di anni fa che continua a condizionarle la vita: «Correvo a giorni alterni lungo un percorso di campagna. Un trattore ha rallentato accanto a me e il conducente ha iniziato a fischiare, poi a urlare: "Bel culo, belle tette", senza smettere. Ero giovane, timida, e mi ha completamente spiazzata. Ho avuto paura che si fermasse per fare di peggio». Nonostante abbia invertito il percorso, l’uomo ha continuato a molestarla. «Da allora evito di correre da sola. Ancora oggi, appena sento dei passi dietro di me, mi agito».

«Gli uomini credono di avere il diritto di molestare» - Secondo Gosalya Iyadurai, consulente del centro contro la violenza sessuale di Zurigo, molti uomini ritengono di avere il diritto di comportarsi così: «È il risultato del patriarcato e delle disuguaglianze che esistono ancora oggi».

La molestia, spiega, non è mai casuale ma sempre un segnale di potere: «Il messaggio è chiaro: tu vali meno di me. Nello sport, dove il corpo è più visibile, queste dinamiche diventano ancora più evidenti. Sentirsi rivolgere frasi denigratorie in un momento così personale è una doppia dimostrazione di forza: non solo ti colpiscono fisicamente e psicologicamente, ma vogliono anche ricordarti il tuo “posto”».

Il catcalling non è un complimento, sottolinea Iyadurai: «Benché alcuni uomini lo credano, è in realtà un atto di dominio».

Molte donne restano paralizzate di fronte a episodi simili, aggiunge l’esperta: «Se possibile, è utile annotare la targa del veicolo e sporgere denuncia. Anche i passanti possono intervenire, mostrando coraggio civile e offrendo sostegno alla vittima. Ma serve soprattutto un cambiamento culturale: gli uomini devono richiamare altri uomini alle loro responsabilità – che sia tra amici o come padri nei confronti dei figli. Solo così le cose possono davvero cambiare».

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