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SVIZZERA/STATI UNITI

Soldi, lavoro, prestigio: le grandi aziende farmaceutiche si allontanano. Ecco le conseguenze

Uno dei settori più redditizi e prestigiosi della Svizzera, rischia la delocalizzazione negli Stati Uniti. Cosa succederebbe?
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Soldi, lavoro, prestigio: le grandi aziende farmaceutiche si allontanano. Ecco le conseguenze
Uno dei settori più redditizi e prestigiosi della Svizzera, rischia la delocalizzazione negli Stati Uniti. Cosa succederebbe?

ZURIGO/WASHINGTON - La minaccia di Donald Trump di introdurre dazi fino al 250% sui prodotti farmaceutici sta già producendo effetti concreti: i giganti svizzeri Roche e Novartis stanno pianificando investimenti miliardari per ampliare la produzione negli Stati Uniti.

Secondo il quotidiano NZZ, Novartis punta a realizzare il 100% dei suoi farmaci più rilevanti direttamente negli USA. Roche, dal canto suo, aveva già annunciato a metà maggio un piano di investimenti da 50 miliardi di dollari oltreoceano.

Tuttavia, i dazi non sono l’unica motivazione alla base di queste decisioni. «È difficile credere che le aziende non avessero previsto simili mosse già da tempo: piani di questa portata richiedono anni di preparazione», osserva l’economista sanitario Heinz Locher.

Quanti posti di lavoro verranno persi in Svizzera? - Secondo l’associazione di categoria Interpharma, il settore farmaceutico impiega in Svizzera circa 50mila persone, di cui 10mila nella produzione. Sia Novartis che Roche sostengono che il trasferimento di attività negli Stati Uniti non avrà impatti sul mercato del lavoro elvetico. Locher, però, è scettico: «Non è possibile stimare con precisione l’entità dei tagli, ma le ripercussioni per la Svizzera saranno sicuramente significative, e non mancheranno effetti anche nell’area UE».

Felix Schneuwly, esperto di salute presso Comparis, aggiunge: «Per le grandi aziende è più semplice esternalizzare parte della produzione. Non dimentichiamo però che esistono molte piccole imprese farmaceutiche e medtech i cui posti di lavoro sono seriamente minacciati dai dazi».

Quante risorse economiche perderà la Svizzera? - Una stima precisa non è ancora possibile. L’esperto farmaceutico Nam Trung Nguyen spiega: «La produzione, cioè la fabbricazione del farmaco, rappresenta solo circa il 10% della catena del valore. La parte di gran lunga più importante è la ricerca e lo sviluppo di nuovi principi attivi e modalità innovative per confezionarli: queste attività resteranno in Svizzera».

Altri settori seguiranno l’esempio? - «La Svizzera si trova oggi in una fase di instabilità legata ai dazi doganali elevati», avverte Locher. L’industria farmaceutica non include solo la produzione di farmaci, ma anche servizi come consulenza legale, pubblicità e logistica. «Anche il comparto del packaging rischia di subire contraccolpi».

La piazza economica svizzera è in difficoltà? - Non secondo Locher: «La Svizzera resta competitiva grazie alla stabilità politica e alle favorevoli condizioni economiche». Più prudente il consigliere nazionale del PLR e responsabile della politica economica Olivier Feller: «Se le produzioni si spostano negli USA, perderemo non solo posti di lavoro, ma anche competenze e salari elevati, con inevitabili ricadute fiscali».

Come reagisce la politica? - Feller propone una strategia industriale liberale ma pragmatica per salvaguardare occupazione e ricchezza. Tra le ipotesi, abolire l’imposta minima OCSE o negoziare ulteriori incentivi fiscali per il settore. «Non esiste una ricetta unica, ma limitarsi a invocare il libero mercato è, a mio avviso, un approccio troppo semplicistico».

Per il consigliere nazionale del Centro, Leo Müller, «ci sono motivi fondati di preoccupazione. Al momento, l’unica via è proseguire il dialogo con un Trump imprevedibile, cercando un compromesso sui dazi farmaceutici». Müller richiama anche la responsabilità dell’industria: «Le aziende devono diversificare maggiormente i mercati di sbocco: è una scelta che ci si aspetta da loro».

La delocalizzazione può rappresentare anche un’opportunità?
Sì, secondo l’economista Reiner Eichenberger: «Da un punto di vista macroeconomico, è più razionale produrre negli Stati Uniti per servire il mercato americano, piuttosto che impiegare un gran numero di lavoratori stranieri in Svizzera, con i costi che la crescita demografica comporta». Le aziende, inoltre, possono mantenere ricerca e sviluppo in Svizzera: «La produzione americana utilizza brevetti e licenze svizzere, esenti da dazi, mantenendo così una parte consistente dei profitti nel Paese».

Anche Schneuwly intravede un’opportunità a medio termine: «La concentrazione della produzione farmaceutica in Paesi come India e Cina ha creato una forte dipendenza e frequenti colli di bottiglia nell’approvvigionamento. Quello che sta accadendo oggi può diventare un’occasione per diversificare».

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