Ecco come stanno reagendo 12 aziende svizzere ai dazi shock di Trump

Da Nestlè a Sandoz, passando per Logitech, Emmi e Calida. Le imprese svizzere sotto pressione dopo le nuove tariffe statunitensi. I big del settore si stanno già muovendo.
BERNA - I dazi statunitensi del 39% imposti da Trump sui prodotti svizzeri colpisce duramente alcune aziende elvetiche. Tuttavia, anche molte imprese che non esportano direttamente negli USA possono subire conseguenze indirette. Ecco una panoramica delle reazioni delle principali aziende svizzere:
NESTLÉ: «Al momento non abbiamo commenti specifici da fare. Ricordiamo solo che oltre il 90% dei prodotti venduti negli Stati Uniti viene prodotto direttamente sul territorio americano» ci tiene a far sapere Nestlé.
ZURICH: «Il nostro business non è direttamente toccato dai dazi USA», spiega il CEO Mario Greco. «Operiamo localmente negli Stati Uniti come fornitori di servizi, non importiamo prodotti. Un’economia in rallentamento o un’inflazione in crescita potrebbero influire indirettamente, ma al momento non ci sono segnali concreti in tal senso.»
SWISSCOM: «Non esportiamo merci negli Stati Uniti, ma possiamo subire conseguenze indirette se le aziende svizzere saranno in difficoltà o se il settore industriale finirà sotto pressione. Tuttavia stiamo notando un calo della domanda soprattutto nel settore IT, ma l’impatto complessivo resta limitato.»
SANDOZ:«Non abbiamo siti produttivi in Svizzera. Dobbiamo attendere per capire come saranno trattati i farmaci generici e i biosimilari provenienti dall’UE. Se venissero tassati al 15%, come altri prodotti, riteniamo di poterlo gestire. Inoltre, gli Stati Uniti rappresentano meno del 20% del nostro fatturato.»
LOGITECH: «Pur avendo sede centrale a Losanna, non produciamo in Svizzera né esportiamo da qui. Confidiamo in un accordo vantaggioso tra USA e Svizzera. La nostra produzione è distribuita tra sei Paesi, inclusa la Cina.»
EMMI: «Emmi opera con un modello “locale per il locale”: circa l’85% del fatturato USA proviene da produzioni locali. Tuttavia, i formaggi d’esportazione come il Gruyère AOP sono colpiti dai dazi. Già nel secondo trimestre di quest’anno abbiamo dovuto alzare i prezzi. Le nuove condizioni richiedono ulteriori adeguamenti».
STADLER: «I dazi USA su importazioni dalla Svizzera e dall’UE non ci colpiscono completamente. Dal 2016 rispettiamo il “Buy America Act”, che impone il 70% di produzione sul suolo americano. Attualmente Stadler Nord America produce tra il 70 e l’80% localmente. Il resto proviene in parte dall’UE, soggetto al dazio ridotto del 15%. Stiamo rivedendo le nostre catene di fornitura per ridurre ulteriormente le componenti colpite da dazi alti. Inoltre, ci siamo già tutelati contrattualmente per parte dei costi aggiuntivi.»
EMS-CHEMIE: «Abbiamo già strutturato le nostre catene logistiche per resistere a barriere commerciali. Non abbiamo relazioni dirette tra Cina e USA. I prodotti venduti negli USA sono quasi tutti fabbricati localmente o esenti da dazi come specialità strategiche.»
BELIMO: «È ancora troppo presto per valutare l’impatto dei dazi. Il 50% del nostro fatturato nella prima metà del 2025 è stato generato nelle Americhe, di cui l’80% negli USA. Le attività di assemblaggio finale e personalizzazione sono quasi interamente svolte negli Stati Uniti. Componenti e semilavorati vengono esportati da impianti in Europa. Stiamo analizzando scenari alternativi e opzioni logistiche. L’espansione in corso nel Connecticut e la nostra presenza globale ci danno flessibilità.»
TECAN: «Nel 2024 il 55% del nostro fatturato proveniva dagli Stati Uniti. Circa la metà di questo è generato direttamente in loco. Nel settore Partnering, dove alcune forniture partono dalla Svizzera, la responsabilità doganale ricade sui nostri clienti OEM. Monitoriamo costantemente lo sviluppo delle nostre capacità produttive, ad esempio in California e Malesia, per adattarci alle nuove condizioni.»
COMET: «Abbiamo già adottato misure strategiche in tutti i nostri settori per affrontare i dazi. Tra queste: il trasferimento dei costi ai clienti attraverso accordi esistenti e concessioni selettive sui prezzi. Non stiamo considerando una delocalizzazione in Europa. Il nostro focus resta sull’espansione in Asia. L’esposizione diretta agli USA e ai dazi è limitata.»
CALIDA: «Il dazio del 39% rappresenta un duro colpo per l’economia svizzera, anche se l’impatto sul benessere generale è difficile da stimare. Per quanto riguarda il gruppo Calida, la produzione e la catena logistica sono già internazionalizzate. Le stiamo comunque rivedendo e adattando. I dazi sono solo uno dei fattori da considerare. Non è prevista una produzione diretta negli Stati Uniti.»