Troppo connessi: la nuova tendenza è riscoprire la vita offline

Si chiama social rewilding, la necessità di spegnere tutto e tornare consapevolmente alla vita reale
BASILEA - Secondo uno studio del 2023, gli svizzeri trascorrono in media 5,6 ore al giorno online. Una cifra impressionante, che riflette quanto la nostra quotidianità sia ormai intrecciata al mondo digitale. Al tempo stesso, l’iperconnessione costante sta mostrando i suoi limiti, e per molti la vita online sta iniziando a diventare opprimente e stancante. È in questo contesto che prende piede una nuova tendenza chiamata social rewilding, ovvero un ritorno consapevole alla socialità reale, alle attività manuali e al contatto autentico con le persone e l’ambiente circostante.
La parola chiave è equilibrio. Il social rewilding non rappresenta una battaglia contro la tecnologia, ma una ricerca di armonia tra il mondo digitale e quello fisico. I trendwatcher internazionali – analisti dei comportamenti sociali e di consumo – prevedono per il 2025 una vera e propria inversione di tendenza: dopo anni di scroll compulsivo e connessioni senza sosta, le persone cercheranno momenti di disconnessione per ritrovare sé stesse.
Lara Wolfers, docente presso la nuova cattedra "Digital Lives" dell'Università di Basilea, conferma alla Basler Zeitung che sempre più persone iniziano a sentire il bisogno di recuperare un rapporto sano con la tecnologia. Il suo team studia la vita digitale quotidiana e le sue conseguenze a livello psicologico, relazionale e sociale. Non si tratta di demonizzare lo smartphone, sottolinea, ma di comprenderne l'impatto e imparare a gestirlo con maggiore consapevolezza.
«Le conseguenze dell’uso intensivo del digitale non sono uguali per tutti - spiega Wolfers -. Ad esempio, il doomscrolling, ossia il consumo eccessivo di notizie negative, può aumentare ansia e stress. Al contrario, contenuti leggeri e divertenti possono anche rafforzare la resilienza emotiva. Tutto dipende, dunque, non solo dal "quanto", ma dal "come" e "perché" usiamo la tecnologia. Siamo connessi per distrarci o per informarci? Per socializzare o per riempire vuoti?»
Stanchezza da sovraccarico digitale - Un problema centrale, secondo Wolfers, è la stanchezza da sovraccarico digitale: troppe opzioni, troppi canali, troppe richieste. «Ogni messaggio, ogni notifica, ogni possibilità di scelta richiede attenzione. E questa attenzione costante, soprattutto per chi già vive una vita piena - genitori lavoratori, caregiver, studenti - finisce per diventare estenuante. La tecnologia ci semplifica la vita, ma la rende anche ininterrottamente esigente.
In risposta a questa pressione, stanno nascendo iniziative locali che promuovono il contatto umano e la creatività condivisa. Caffè dove si dipinge in gruppo, laboratori artigianali, corsi di scrittura o disegno: luoghi dove le persone possono creare, dialogare, toccare, vedere e sentire senza filtri. Sono esperienze che mettono al centro la presenza fisica, l’attenzione condivisa, la lentezza. Un controcanto alla frenesia digitale.
Detox dai social: genera benessere ma anche ansia da esclusione - «Il bisogno di disconnessione si accompagna però a una certa ambivalenza. Se da un lato desideriamo “staccare”, dall’altro temiamo di perderci qualcosa. Il detox digitale - prosegue Wolfers - può generare benessere ma anche ansia da esclusione. Ecco perché la soluzione non è semplicemente spegnere tutto, ma piuttosto creare spazi consapevoli dove recuperare il controllo. Dove decidere quando essere online e perché».
Sul piano psicologico, il contatto diretto con gli altri resta fondamentale. «Il corpo - dice Wolfers - ci ricompensa per le relazioni autentiche: il tocco, la vicinanza, lo scambio emotivo profondo sono elementi centrali per la nostra salute mentale. Le relazioni digitali possono essere piacevoli, ma spesso restano superficiali. Non è solo questione di quantità, ma di profondità».
Cambiamento in una società iper connessa - Come cambieremo in una società sempre connessa? Wolfers prevede «una trasformazione nel modo in cui intendiamo la comunità, sempre più fluida e globale. Con l’avanzare dell’intelligenza artificiale e la diffusione dei chatbot, potremmo perfino iniziare a intrattenere relazioni affettive con agenti virtuali. Ma resta aperta la domanda su quanto tali rapporti potranno realmente soddisfare i nostri bisogni emotivi più profondi».
Infine, alla domanda su quale sia il tempo "sano" da trascorrere online, Wolfers risponde con cautela: «Non esiste una soglia universale. Ognuno deve riflettere sul proprio rapporto con la tecnologia, porsi domande sincere e adottare strategie su misura. Anche per i bambini, l'importante non è vietare, ma accompagnare, spiegare, creare esperienze condivise – persino giocando ai videogiochi insieme».