Quando il cartone animato te lo disegna l'AI: «Ma che emozioni prova una macchina?»



Il nuovo corto di Netflix “The Boy and the Dog” riapre il dibattito sulle intelligenze artificiali, nell'ottica di lavoro degli artisti
Il nuovo corto di Netflix “The Boy and the Dog” riapre il dibattito sulle intelligenze artificiali, nell'ottica di lavoro degli artisti
SAVOSA - Una storia d'amicizia un po' strappalacrime fra un bambino e un cane robot, in un paesino di campagna in un mondo futuristico e fantastico.
È questo il soggetto di “The Boy and the Dog” (il bambino e il cane, ndr.) un corto - anzi cortissimo - sperimentale d'animazione pubblicato non troppo tempo fa sul web da Netflix e che sta facendo molto discutere, e non per qualità o contenuti.
Il motivi riguardano piuttosto il come questa clip è stata realizzata: ovvero utilizzando le intelligenze artificiali che hanno aiutato a tratteggiare soprattutto sfondi e ambientazioni. Che c'è di male? Che questo tipo di lavoro, solitamente, è svolto da animatori in carne e ossa.
La giustificazione di WIT, lo studio giapponese che si è occupata del progetto, le AI «permettono di colmare l'endemico problema della carenza di manodopera». Una dichiarazione che non è piaciuta a molti, anche considerando le condizioni di lavoro degli animatori "industriali", soprattutto in Giappone, con orari durissimi e paghe molto basse.
Ma c'è davvero da preoccuparsi? Lo abbiamo chiesto all'illustratore e animatore ticinese Bruno Machado: «Io non le ho mai usate e, sinceramente, non sono molto attratto né dall'idea in sé, né dai risultati. Al momento noi animatori stiamo ancora tentando di capire cosa stia succedendo, è una novità dirompente e che si diffonde con grande velocità, ormai mi sono reso conto che se ne parla ogni giorno...»
È un problema sociale, ma non solo, ribadisce Machado: «La tecnologia ha il potenziale di sostituire professionisti umani anche nei settori creativi. Se vogliamo essere utopici, o meglio distopici, le AI potrebbero soppiantare l'uomo nell'illustrazione, nell'animazione, nella fotografia, nel design nel giornalismo, nella scrittura dei romanzi, eccetera... Dal mio punto di vista le macchine dovrebbero fare i lavori pesanti e stupidi, non quelli creativi! A preoccuparmi è pure l'uso che potrebbero decidere di farne le grandi aziende, pronte a tutto pur di risparmiare».
Le criticità, poi sconfinano nell'ambito artistico e anche nell'etica e nella filosofia: «Per me quello che producono le AI è semplicemente privo di significato, che senso ha guardare qualcosa fatto da una macchina che ha plagiato - perché è questo che fanno (vedi box, ndr.) - millenni di sforzi emotivi e creativi umani? Che emozione prova una macchina? In un futuro più o meno prossimo ci troveremo a consumare “simulazioni di emozioni“? Certo, se un robot diventasse davvero in grado di provare sentimenti e tradurre in arte in maniera spontanea le proprie esperienze, sono pronto a cambiare idea».
Una macchina fatta per plagiare
Per creare i suoi disegni, le AI solitamente prendono spunto - ma anche proprio delle “fette” - da enormi database di immagini e opere di artisti umani. Il loro modo di lavorare è stato da molti paragonato a un plagio, anzi un multi-plagio: «Lo afferma anche Noam Chomsky», spiega Machado, «questi robot sono sistemi di plagio estremamente sofisticati. Per gli artisti è forse il problema più grande, significa che le proprie opere non sono più protette dal diritto d'autore e che potrebbero entrare nel catalogo di una qualsiasi macchina, senza che loro ne sappiano nulla».